"All that she wants is another baby she's gone tomorrow boy". Non so voi, ma chi vi scrive, nella lontana estate del 1993, ne ebbe le scatole piene già al secondo ascolto coatto: già, perché radio e tv commerciali te la sparavano a ciclo continuo randomizzandola con "What Is Love" di Haddaway.

"All That She Wants" esplose con un fragore stupefacente. Trascinò l'album di riferimento, "Happy Nation" (1992/93), a vendere venti milioni di copie in tutto il mondo. Non solo: l'album ebbe ben tre incarnazioni perché, innescata "All That She Wants", ogni singolo andava dritto al numero uno, e (quasi) ogni singolo generava una nuova ristampa dell'album: "Happy Nation - European Edition", "Happy Nation - US Edition", "The Sign". Cose mai viste. L'album, in sé, non era male: una manciata di brani dance discretamente prodotti e suonati, con, concediamolo, l'innovativa sezione ritmica del celeberrimo singolo che diventerà il trademark del gruppo negli anni a venire. Insomma: un buon prodotto, non c'è dubbio, ma non tale da giustificarne la portata che catapultò i gemelli Berggreen (Jonas "Joker", Linn e Jenny) e l'amico Ulf "Buddah" Ekberg sul tetto del mondo. Boom! Il livello di celebrità fu totale, incondizionato. Una fan tedesca si introdusse in casa Berggreen mentre la famiglia cenava e minacciò Jenny con un coltello. Per dire.

L'etichetta discografica, a ragion veduta, iniziò ad esercitare un pressione pazzesca sulla band per dare alle stampe il prima possibile il nuovo album. E chi ha tempo ? Tour, interviste, promo video, ospitate, aggressioni lunchtime.

Dicono che con la pressione addosso, con il fiato sul collo, si lavori male. Beh, loro lavorarono bene. Si divisero i compiti, e la fretta fu buona consigliera. Tutti al lavoro: Joker, la vera pietra angolare del gruppo, le di lui sorelle, ed il buon Buddah, che prima di sfondare con gli Ace suonava in una band svedese punk a tematiche razziste (il nostro, poi, messo alle strette dalla stampa, rinnegherà quel frangente, 'Ero giovane e stupido'. Vabbè). Dicevo: "The Bridge" (1995) ebbe una genesi ed una stesura relativamente brevi. Non replicò, giammai, i venti milioni di copie del predecessore, ma si assestò su un sette milioni di tutto rispetto. Tre singoli vennero piazzati per introdurre il nuovo corso: le simpatiche e colorate "Lucky Love" e "Never Gonna Say I'm Sorry" (al cui ascolto: toh, gli Ace Of Base! ) in Europa e la potente, danzereccia ed estiva "Beautiful Life" negli States, brano che apre anche il disco.

Ne consegue un disco variegato, con abbondanza di accordi e armonie in chiave minore, per dare un tono triste, ombroso, ma anche orecchiabile, alle 18 piccole perle che compongono la collana. Detto dei tre singoli apripista, ottimamente confezionate e denge di nota sono "The Edge Of Heaven", brano pop condito dalla sensualità tipica di Sade, "Whispers in Blindness", creatura di Linn, che si fa apprezzare per l'impatto e la semplicità stilistica, "My Deja Vu" perchè valorizza il loro passato rendendolo più credibile, "Wave Wet Sand" con la pesantezza del synth bass ammorbidita dalla melodia dolce e spersa, "Just 'N' Image" perché dovete fidarvi di me. Per chi ama i lenti, "Angel Eyes" vi accarezzerà senza arrecare danno alcuno, mentre se vi piace ballare o semplicemente abbassare i finestrini con l'arrivo della bella stagione, "Strange Ways", "You And I" e "Blooming 18" difficilmente disilluderanno le attese.

Dice: eh, ma sono quelli di "All That She Wants", dai. Sì: l'album di debutto, a parer di chi vi scrive, aveva poche difese. Ne cito una : "Waiting For Magic", che ad "All That She Wants" dà antipasto, primo e secondo. Con il terzo ed il quarto album, "Flowers" (1998) e "Da Capo" (2002) (quest'ultimo passato quasi in osservato anche perché figlio di una soft release, ndr) i quattro dell'Ave Maria tornano a sposare il sole, evviva la vita e giù di lì. "The Golden Ratio" del 2010, realizzato con due coriste al posto di Jenny e Linn, non merita menzione.

"The Bridge", ad oggi, resta il loro lavoro migliore: cupo il giusto, frenetico ma equilibrato, esauriente e accattivante, stacca il resto della discografia sotto ogni aspetto. Ma molte persone non lo sapranno mai. Perché "All That She Wants" ha fatto da spartiacque troppo presto intaccando coscienza e pazienza dell'ascoltatore, che potrebbe non avere voglia di dare una chance al secondo lavoro di questo gruppetto di (ex) ragazzotti svedesi.

Questo, pensavate. E vi è lecito. Ma adesso che sapete, insomma.

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