Sono passati due anni da “Splazsh” e, come avvenne per l’uscita precedente, pare che il producer londinese Darren Cunningham (aka Actress) lo trovi l’intervallo di tempo perfetto per dare al pubblico un nuovo lavoro. L’intera ora di ascolto è un’esplosione di generi che, nonostante tutto, non diventa mai dispersiva ma, al contrario, è guidata da un particolare leitmotiv coincidente con la continua ricerca di vie traverse. L’incipit è affidato ad un effetto ping-pong che ci introduce magistralmente alle atmosfere susseguentesi traccia dopo traccia.
È davvero difficile riassumere la lista d’influenze e generi che percorrono le 15 tracce: le iniziali “R.I.P.” e “Ascending” sembrano rendere omaggio a molta ambient di casa Eno per poi andarsi a stagliare contro la cascata di pixel di “Holy Water”, “Marble Plexus” e “Raven” poggiano su tappetti sonori ovattati in pieno stile lo-fi, i beat da dancefloor incedono in “The Lord’s Graffiti”. Non può neanche essere omessa la presenza di momenti al limite del glitch (“Jardin”) che tracciano un ponte tra questo lavoro e quello del 2010. L’unico momento in cui Actress fa uso di una voce filtrata si trova nella sublime “Caves of Paradise”: una linea di basso che s’intreccia con una serie di loop quantomeno claustrofobici, tanto per dare l’idea. Dopo una serie di tracce più “tirate” si viene adagiati sul flusso più rilassato di “N.E.W.” (che pare quasi voler dare la giusta chiusa all’intero album). Proprio qui Cunningham ci prende di sorpresa. Dal clima disteso di “N.E.W.” viene innalzata “IWAAD”: traccia con una cassa dritta martellante che non sfigurerebbe affatto negli album precedenti. Trovare un vero difetto in quest’opera magistrale sarebbe un puro peccato d’invidia.
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