Uno tenta di “elevarsi”, non accetta di ascoltare brani di meno di venti minuti che non siano dichiaratamente d’avanguardia, intere notti sinceramente dedicate al krautrock più estremo, più ostico e poi... e poi ti capita per caso di venire a conoscenza di questo Adam Green e di queste “Gemme”. Lo confesso candidamente, quest’album di trenta minuti l’ho sentito almeno buone cento volte in manco un mese che l’ho scoperto. Adam Green è un cazzone, un poco più che ventenne che, merito di suo padre o di qualche zio come sempre succede, da piccolo ha ascoltato la musica giusta, a tredici anni forse gl’han regalato una chitarrina e il ragazzo ha iniziato a divertirsi.

Dalla prima all’ultima traccia gli echi, più che altro li chiamerei riferimenti spudorati sono tantissimi, la prima, title track, ricorda genio, spensieratezza e imprevedibilità à la They Might Be Giants, “He’s The Brat” a me rievoca il più divertente e scanzonato Ray Davies (Kinks), “Over The Sunrise” invece smaschera quella che sembra, almeno in questo album, essere la sua influenza più marcata: il grande Jim Morrison delle brevi perle di “Strange Days” o dei blues (“Crackhouse Blues”). Ma non è mica tutto qua, il nostro infatti è un cantautore coi fiocchi che ha ascoltato i più grandi della specie, a cominciare dal grande Leonard Cohen, è ha saputo trarne le migliori qualità melodiche (non quelle di poeta!!), e ancora in “Carolina” sfodera un ritornello alla Strokes (suoi grandi amici) e nella trascinante “Emily” un irresistibile rock’n’roll stile Fifties per non parlare del country che caratterizza parecchie tracce.

Cosa manca? Ah sì, i testi.. Per questi mi limiterò, come per i più grandi, a citare un verso da “Carolina”: “California presidente / Cogi mucho estoy cansado / Dostoevsky, Fab Moretti / Antiseptic, complimentary / There's her hand now on the cock sock / Filled with white tears from the thrift store”.

 

Carico i commenti...  con calma