Si presentò domestico.
Ora gravita nello spazio.
Radici nella terra: aromi bucolici e intimità da focolare.
Poi voli obliqui: sapori nuovi e morbide tenerezze effervescenti.
Adem, dopo la militanza nei Fridge, si è presentato con un disco d’esordio dal titolo programmatico (Homesongs - 2004) che l’ha posto all’attenzione dei cultori dell’affollata scena nufolk.
Il presente lo vede oggi tentare una via meno terrena, più eterea e volatile.
Come l’elemento intorno al quale gravitano le sue nuove creature.
Una cosmogonia sostenuta dai dettagli.
Nella struttura di canzoni che rivelano un’attitudine alla scrittura pop, retta dai piccoli equilibri posti in essere da arraggiamenti molto accurati, sopravvive l’intima parsimonia dell’anima folktronica.
Spalancata però, come con un’ampio respiro, verso spazi più aperti.
Illuminati da luce tiepida, solcati da fresche correnti.
Si parte bene.
La rarefazione dell’aria è una condizione perfetta e i fragili suoni di “Warning Call” la attraversano con una “semplicità” ancora ancorata al suolo, che ci consegna una canzone profonda ma delicata.
La fase di decollo prosegue sugli arpeggi di una chitarra acustica per condurci verso luminose aperture che, in “Something’s Going To Come”, entrano subito in circolo, irradiando leggere folate melodiche.
Poi…
Tintinni e battiti di mani.
Tappeti ritmici fragranti solcati da accurate armonie vocali.
Sottofondi tremolanti e sospiri.
Discrete particelle elettroniche che convivono con chitarre ed harmonium.
Violoncello e violino, vibrafono: per virare verso zone più incerte dello spazio, in pieghe più spoglie e profonde.
Perché si viaggia seguendo una rotta zigzagante, dentro una navicella assemblata con elementi modesti, ma sorprendentemente agile e funzionale.
Ed ogni pianeta mostra un volto diverso del complicato e contraddittorio sistema al centro del quale brilla il misterioso sentimento che è propellente e meta del viaggio.
Le canzoni di Adem lo descrivono ora ricorrendo ad una atmosfera quasi onirica, distesa ma punteggiata da un balbettante sfondo di voci (X Is For Kisses), ora saltellando ritmicamente su uno schioccante battito di mani tra le piccole sfere sonore irradiate da vibrafono e percussioni (Launch Yourself). O tentano di sondarne le zone più celate, con l’equipaggiamento minimo di un approccio intimo, a bordo del suono di un harmonium (Love And Other Planets).
E il viaggio continua, recuperando frammenti durante un’esplorazione che incontrerà altri spazi, a volte ancora echeggianti malinconie inquiete (Craschlander) o sembrerà riprodurre superfici più distese, illuminate dalla luce di lievi arpeggi di chitarra e cori sospirati (Sea Of Tranquilty).
Si procede attraverso costanti cambi di rotta, per conoscere l’aspetto cangiante di questo sistema solare. Che passa dalla desolata atmosfera di “Last Transmissions From The Lost Missions” alla radiosa vitalità melodica che attraversa “These Lights Are Meaningful”, sino ad un pianeta rarefatto ma ospitale, dove non sarebbe troppo improbabile incontrare un vecchio amico come Robert Wyatt. Sorridente mentre ascolta gli accordi dell’harmonium circondare la voce di Adem, così vicina alla sua, in “Human Beings Gather ‘Round” che chiude il viaggio.
La navicella, al suo ritorno, ha consegnato al vostro cronista alcuni reperti che potrete ascoltare con un semplice clic.
Per un reportage completo della missione occorre rivolgersi alla Domino, che ha licenziato nel maggio del 2006 le 12 canzoni di Adem.
Il voto gravita tra il 3 e il 4, anche in base all’umore presente nella vostra atmosfera.
C U on another planet.
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