Spesso la linea di confine tra follia e genialità è quasi impercettibile, se non addirittura, almeno all'apparenza, inesistente. Adrian Belew rientra alla perfezione in quella categoria di persone che stanno da entrambe le parti; ma sebbene sembri, soprattutto ascoltando quest'album, che a suonare siano tre tizi qualsiasi appena scappati dal manicomio, non è così.
Adrian Belew, qua chitarra e voce, non è il primo venuto: scoperto da Frank Zappa, ha poi suonato in gruppettini come Talking Heads, King Crimson e Porcupine Tree solo per citarne alcuni; è stato anche per anni il chitarrista di David Bowie, che potrà non piacere, ma nemmeno lui è il primo venuto. Per la registrazione di questo disco Adrian ha scelto come bassista la persona più azzeccata, il musicista che a mio avviso è più simile a lui come carattere e mentalità, cioè quella gran vacca (in senso buono) di Les Claypool. E penso che non ci sia bisogno di ulteriori presentazioni; se non lo conosceste, andatevi a dare un'occhiatella alla recensioni dei Primus. Se vi state chiedendo chi suona alla batteria, non mi dilungherò oltre, e vi sbatto lì nome e cognome. Danny Carey. Tool.
Se siete arrivati a leggere fino a qua e siete amanti della musica prog, immagino che stiate sbavando tipo cane rabbioso. Asciugatevi la schiuma, ora si parla del disco. Primo di una trilogia, Side One esce nel 2005, e chi ci suona già lo sapete. Come in ogni suo disco solista, Belew fa di tutto per incidere sperimentazioni delle più disparate. Più che un disco di musica lo vedo come un agglomerato di sperimentazioni musicali, non un album ma un esperimento vero e proprio. Adrian, come pochi altri, tra cui Frank Zappa, ha la dote di far sembrare facili cose complicatissime sia tecnicamente sia a livello puramente teorico. Quella che puo' sembrare una canzoncina del cazzo da far ascoltare a un bambino di quattro anni, cela in realtà delle complicazioni pazzesche; ma Adrian non lo fa per sboroneria, Adrian lo fa perchè ad Adrian ci gira così. E basta. In quest'album sia Belew che gli altri musicisti dimostrano una tecnica e una capacità compositiva fuori dal normale; dai giri schizzatissimi di Claypool, ai rulli tra il jazz, il prog e il metal di Carey agli arpeggi crimsoniani, ai riffazzi funk, alle sfuriate al confine tra psichedelico e rumore di Belew, questo album non dovrebbe deludere, se non in parte, nessun progressone (colui che ascolta prog) come si deve.
E' vero che puo' risultare noioso, ma Adrian è un pazzo, e se non lo capite non c'è nulla di male. Almeno "Madness" non vi farà venire il mal di testa, non rincoglionirete tentando di capire il tempo di "Ampersand" e non vi interrogherete su come un uomo che ha quasi sessant'anni possa comporre, suonare e cantare un pezzo come "Writing On The Wall".
Consigliato ad amanti del prog, amanti delle sperimentazioni, chitarristi e a semplici pazzi masochisti.
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