Se fosse stato per me, questo disco non l’avrei mai ascoltato. Ma il caso vuole che mio fratello sia un patito di Celentano e che mi faccia spesso ascoltare i suoi cd. Inizialmente ero poco incline all’ ascolto di questo “C’è Sempre Un Motivo”, ma con il susseguirsi di ascolti forzati (visto che lo stereo è uno e visto che lui ha 11 anni in più di me) ho imparato ad apprezzare queste canzoni; alcune mi hanno davvero colpito. Inutile dire che non è un capolavoro; ci sono dei pezzi un po’ ridondanti e poco originali, ma in questo disco si possono trovare numerose perle.

La prima traccia, “Ancora Vivo” è davvero d’impatto, un testo abbastanza triste, diversamente dalle solite canzoni di Adriano. Per un cantante con cinquant’anni di carriera alle spalle è difficile fare brani ancora incisivi; ma Celentano lo fa benissimo. La canzone a tratti è quasi esplosiva, è vibrante. Il cantato è perfetto, aspro e tenebroso al momento giusto. Ottimo inizio. Segue “Marì Marì”, dai toni più pacati, risulta a volte un po’ in affanno. La melodia non è molto accattivante, anzi è abbastanza noiosa e ripetitiva. Ma Adriano riesce a ravvivarla con il suo canto molto espressivo, soprattutto nel climax finale. E qui sta la classe dei grandi interpreti; riuscire, con la propria voce, a dare vita a canzoni praticamente morte. “C’è Sempre Un Motivo” è il primo singolo. Quando la sentii per la prima volta, non mi convinse molto, sembrava davvero brutta. Ma con i successivi ascolti venne fuori la grandezza di questo originalissimo pezzo, dove Adriano si lancia in un simil-rap alternato a parti più armoniose. La musica è ben ritmata, lui si diverte a fare la parodia dei rapper con il yo-yo di sottofondo. Il tutto sfocia in un finale in crescendo di archi. Davvero ottima, molto fresca. “Valeva La Pena” è un pezzo piuttosto tenebroso per i canoni della musica leggera italiano. Splendido arrangiamento di archi, insistenti e cupi. Una strofa oscura ci introduce al ritornello slanciato e potente, che si spegne e gli archi tornano ancora più ostici ed insistenti. Il tutto farcito dalla chitarra elettrica che arricchisce il pezzo con l’assolo finale. Poi tutto sfuma come la nebbia. Un pezzo fantastico, del tutto inaspettato, che lascia a bocca aperta... “Lunfardia” è un bel pezzo dai toni piuttosto orientali, dal testo abbastanza esplicito, ondeggia lentamente. Ma può risultare noioso soprattutto perché cantato in dialetto. “Verità Da Marciapiede” è molto coinvolgente. Quello che perde in originalità musicale, lo guadagna nel testo sincero e nella melodia bellissima cantata da Adriano con tutta la sua spontaneità. Nel finale un accenno politico, che successivamente troverà senso nel suo show “Rockpolitik”. La canzone si conclude con una parte parlata, polemica nei confronti della società. Ecco un altro ottimo pezzo, è già il quarto su sei... Arriviamo alla vera pecca del disco; il remake de “Il Ragazzo Della Via Gluck” , “Quel Casina”. Penso che sia un pezzo abbastanza inutile, dato che la melodia è quasi identica a quella originale, e il testo non aggiunge nulla a quello che già diceva il pezzo originale, peraltro in modo molto più incisivo. E subito dopo il capolavoro dell’ album, “L’ultima Donna Che Io Amo” è un pezzo meraviglioso. La melodia è davvero geniale, nel suo crescendo che poi sfocia con l’entrare delle potenti chitarre. Ma poi sale di nuovo, è un intenso crescendo che poi si cheta, si addolcisce e riparte, intensissimo. Ogni parola a suo posto, non sposterei una virgola del testo e nemmeno una nota nelle musiche. La sensazione di malinconia che lasciano le parole completa il brano; uno dei migliori negli ultimi anni di Celentano. “In Quale Vita” affronta le tematiche già accennate nella sesta traccia; musicalmente è l’evoluzione di “C’è Sempre Un Motivo”, un ibrido tra musica etnica ed elettronica. Il battere di mani detta il tempo, i battiti continui sono poi sommersi dall’ondata di suoni sintetici e sfumati. La voce lamentosa di Adriano dà il tocco di grazia. Altra perla. “Proibito” è introdotto da dolci note di piano. Ma sa di già sentito, la melodia è comunque apprezzabile, il testo più che dignitoso. Diciamo che poteva essere più originale; forse è il cantato, un po’ troppo nello stile Celentano. “Vengo Dal Jazz” chiude nel migliore dei modi. Un pezzo molto fresco, originale e allo stesso tempo molto classico. Pare un pezzo da birreria americana anni ’30, sembra di vedere il fumo dei sigari salire mentre il nostro cantante si esibisce al pianoforte. Un cantante jazz, nero, che se la spassa a cantare. Poi si alza, scende i pochi scalini che lo separano dal pubblico e si confonde tra la folla.

Adriano Celentano, un eterno ragazzo, è ancora capace di mettersi in gioco. In conclusione un album più che buono; considerata la sua età, viene voglia di pensare a tutti quei giovani cantanti che dopo due dischi si perdono, sommersi da una nuova moda. Per fortuna che ci sono anche i colossi come Celentano… Voto 7, 5/10

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