Questa recensione non è cool. Non è cool perché c'è di mezzo un quasi settantenne, un successo commerciale clamoroso e una produzione, rabbrividite, quasi totalmente italiana. Dunque se siete in cerca di recensioni cool cambiate URL.
Bene, ora che ci siamo liberati dei lettori dell'alternative-indie-acid-folk-prog-industrial music, si può anche cominciare a parlare del grande Celentano.
Correva l'anno 1999, fine del millennio, quando un gruppo di fuoriclasse della musica nostrana si riuniscono per incidere un disco che marchi a fuoco e per sempre, un tempo, gli ultimi decenni del ‘900, uno spazio, l'Italia e una musica, la leggera. Ebbene si, la abusata, bistrattata, usurpata musica leggera italiana giunge al suo canto del cigno con il formidabile contributo di un magnifico interprete, un autore di musiche in stato di grazia, Gianni Bella e il paroliere per eccellenza, Mogol. Un inevitabile successo.
E' un disco pieno di belle canzoni, con al centro l'amore, raccontato e cantato nei suoi molteplici stati d'animo. A cominciare dalla gelosia, nell'iniziale brano omonimo, una composizione tanto semplice quanto accattivante, con un piglio quasi rock, cui si adeguano in simbiosi, musiche, parole e voce. A fare da contro altare giunge subito spiazzante la title track, una canzone ammaliante e cristallina, che parla dell'amore con una dolcezza e una spontaneità, possibile solo a chi, forse, dell'amore non è un professionista. E Mogol riesce perfettamente in questo contraddittorio espediente di composizione.
"L'Arcobaleno" è il brano che non ti aspetti, sicuramente un capolavoro, ragionato quanto ispirato, interpretato come un sussurro da Celentano; con un sottofondo sinfonico e sincopato che ne sottolinea il messaggio di affetto, profondo e sofferto, per la persona per cui la canzone è stata scritta: Lucio Battisti. Il disco prosegue su livelli più terreni con "Una rosa pericolosa", scritta dallo stesso Celentano e "Qual è la Direzione", che si distingue per una continua allusione erotica, mai volgare, come è nello stile degli autori. "Angel" è invece un pezzo sottovalutato, scritto da un giovane musicista e purtroppo nascosto dal successo dei singoli iniziali; si mostra come il brano musicalmente più raffinato, con un ottimo lavoro alle chitarre e un tema portante che avrà stupito molti dei rocker nostrani.
"Le Pesche d'Inverno", che segue l'ordinaria "L'Uomo di Cartone", ha una grande apertura melodica, di quelle che ci si meraviglia siano uscite dalla penna solo adesso, che parla di una ritrovata serenità, riuscendo a trasmetterla interamente all'ascoltatore. Da questo punto in poi è uno sfumare verso la fine con una manciata di canzoni di mestiere che completano il disco senza comprometterne l'integrità e l'impressione generale.
"Io Non So Parlar d'Amore" non è certamente un album rivoluzionario, tutt'altro. Mogol e Celentano non hanno più l'età per le rivoluzioni, che pur hanno contribuito a fare a loro modo negli anni sessanta e settanta. E' un lavoro di classe, omogeneo e di qualità, che ha riportato la canzone leggera italiana al livello di dignità che gli è consono. Resta quindi l'ammirazione per un sodalizio artistico che ha proposto, nel suo genere specifico, quanto di più bello e intenso si sia ascoltato negli ultimi anni.
In barba a chi pretende oggi di essere innovativo e alternativo senza riuscire mai ad incidere veramente nell'anima della musica.
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