Un sospiro. Mi preparo a varcare le soglie del Giardino degli Angeli. A percorrere i suoi sentieri nascosti, che nel tempo ho imparato a conoscere e ad amare profondamente. Melodie che toccano le corde dell’anima e cercano di rubare un po’ di calore all’abbraccio della tradizione scandinava. Gli Änglagård raccontano i silenzi e la malinconia dei paesaggi nordici, solenni trame di foreste dove ogni suono è ovattato e i colori si confondono nelle ombre. Una musica che sa essere delicata come una passeggiata al chiaror di luna, ad ascoltare la voce del vento ed il respiro delle ore. Ma anche una musica che sa sorprendere con improvvisi fragori elettrici e violenti scrosci di note.
“Buried Alive” è l’ultima testimonianza che ci ha lasciato questa meravigliosa band. Un titolo che già dice tutto e che ci offre una consapevole ultima esibizione dal vivo del gruppo. C’è chi asserisce che questa performance non sia stata ai livelli di altre che l’hanno preceduta. C’è chi addirittura ha affermato che gli Änglagård in sede live non riuscivano a riprodurre la perfezione sonora ottenuta in studio. Echissenefrega, dico io. Personalmente adoro le piccole imperfezioni che si incontrano lungo questi solchi. Sono quelle che in fondo danno un’anima a quel suono maestoso ed evocativo. Mi sento avvolgere dalle tinte classiche di “Prolog”, che presto lasciano il posto al piano inquietante di “Jordrök”. Deliranti fraseggi strumentali si alternano a momenti di struggente intimità, in una rappresentazione su pentagramma delle suggestioni e dei contrasti della propria terra.
Le evoluzioni d’avanguardia di "Höstsejd", tra cerebrali partiture e cambi di ritmo, ci accompagnano per mano ad uno dei brani più ispirati del combo svedese: “Ifrån Klarhet Till Klarhet”. I continui saliscendi e cambi d’umore, tra pennellate flautistiche e giochi di luce dell’hammond, ci portano in territori dove la melodia sgorga come acqua da una sorgente montana. Emerge per la prima volta il cantato in lingua madre di Tord Lindman, così come nella seguente “Vandringar i Vilsenhet”, brano dal tema più cupo e lisergico. Arriva l’ultima estate, “Sista somrar”, lungo ed impervio strumentale dall’atmosfera malinconica che esplode in un crescendo finale di ineguagliabile bellezza. A chiudere l’opera un altro capolavoro senza tempo, “Kung Bore”, autentica poesia in musica. Una canzone che è la summa del messaggio musicale degli Änglagård, dinamica e raffinata, drammatica ed intensa, con il mellotron ad incidere una pesante impronta epica.
La musica lascia spazio ad un silenzio crepuscolare. Immagini che lentamente perdono d’intensità. Gli occhi affaticati dal loro riverbero, che sfuma in fiochi baluginii, per poi lasciare spazio all’oscurità. Sensazioni che si accavallano, mentre i miei pensieri rincorrono il lontano tepore di un camino. Apro gli occhi e quel camino è a pochi passi da me.
Un sogno ad occhi aperti.
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