Da amante del rock progressivo non posso che farvi conoscere o comunque farvi apprezzare un disco che considero un encomiabile lavoro di recupero, se così si può definire, "filologico" nei meandri della storia del progressive sinfonico (Genesis, Yes e King Crimson); perchè è questo che fanno gli svedesi Anglagard nel 1992 quando danno alla luce questa gemma nascosta dal nome "Hybris".
È il loro debutto discografico anche se ciò non si percepisce affatto tanta è la maestria che i 6 scandinavi possiedono. Il disco è dei primi anni '90 ma all'orecchio dell'appassionato potrebbe tranquillamente provenire dalla penna del più ispirato Fripp degli anni '70; i nostri vichinghi però, sia ben chiaro, non copiano nulla dai grandi del passato, ma rielaborano in maniera del tutto originale le basi del symphonic-prog, creando tessuti sonori intriganti, appassionati, nonchè complessi ed elaborati. Altro fatto che mi fa adorare "Hybris" è che si assapora il gusto di un suono vintage riprodotto da strumenti classici quali il mellotron, l'Hammond, il basso Rickenbacker, le chitarre Gibson...
Si parte con "Jordrok", composizione che considero straordinaria e per me la migliore del lotto; l'intro di pianoforte, oscura e al contempo malinconica, ricorda i lunghi inverni svedesi e prepara psicologicamente l'ascoltatore ad un viaggio pieno di meravigliose sorprese. Dopo un minuto circa infatti esplode un riff di chitarra di stampo crimsoniano sostenuto da potenti ritmiche e da tastiere alla Tony Banks che più prog non si può; lo scorrere della canzone ci accompagna attraverso momenti più delicati con tappeti di mellotron e chitarre acustiche frippiane arpeggiate, intermezzi di folk esaltati dal dolce flauto di Anna Holmgren e nuovamente stacchi prog con eleganti e mai banali tempi dispari e decorazioni melodiche.
Il secondo pezzo "Vandringar I Vilsenhet" si apre ancora con il soffice flauto, adagiato su di un delicato mellotron, che introduce atmosfere folk-bucoliche anche qui condite da prestazioni strumentali sopra le righe e per la prima volta sentiamo la voce delicata e decisamente adatta al contesto di Tord Lindman; canta in lingua natia, il che rende ancor più particolare la sua interpretazione. Il terzo episodio, "Ifran Klarhet Till Klarhet", si spiega, dopo pochi secondi di un giocoso motivetto circense, in uno stacco prog pazzesco (ricorda un po' Dance on a Volcano) che non lascia spazio a repliche, seguito da altri e più tranquilli affreschi sognanti, dipinti da una strepitosa intesa tra sezione ritmica (notevole soprattutto il basso), chitarra, hammond, via via verso il finale sempre più enfatico troncato improvvisamente al suo climax quasi per voler lasciare spazio all'ultima grandiosa perla dell'album. "Kung Bore" chiude il cerchio, stupendo chi ascolta con la contrapposizione sfacciata di favolose trame di chitarra classica e sezioni alla Focus/Yes, tanto per intenderci. Il batterista qui ricorda il Bruford di "Larks' Tongues in Aspic", mentre il flauto conferisce nuovamente un'emozione nostalgica al tutto. Dal minuto 6 al minuto 7 mi ricorda parecchio "Echoes" dei Floyd nel passaggio prima del chorus finale.
Questo lavoro è dunque da considerare una risposta a chi ritiene che il prog sia morto? Beh, sicuramente penso che non debba mancare in una qualsiasi collezione "progressiva" che si rispetti; se vi state addentrando da poco nella magia di tale genere, l'album è straconsigliato per apprezzarne l'essenza.
Anglagard significa "giardino degli angeli", nome quanto mai adatto ad artisti di tale caratura.
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