Africa United?
No, non più…
Dopo diversi anni di attività, il gruppo reggae torinese, nel 1993, col suo quarto album "Babilonia e poesia", passa dall'inglese al cantato in italiano e perde l'ultima lettera del suo nome: quella "d" finale che ne aveva connotato, fino ad allora, insieme alla lingua e alla musica, il carattere internazionale.
Fino ad allora pochissimi artisti italiani si erano espressi nella loro lingua madre in ambito reggae e dub e, solo da poco Militant A aveva dato vita al fenomeno dell'hip hop (in italiano) in Italia. Bene, gli Africa Unite possono dirsi fra i primi (se non proprio i capostipiti) a fare reggae in italiano, ottenendo ottimi risultati (solo due pezzi sono in inglese: "When people" e "Landless Riders"). "Babilonia e poesia" è dunque, oltre che il disco della svolta (dall'autoproduzione i nostri passano alla Vox Pop), un album fondamentale, dove il reggae è mescolato all'hip hop, al dub e ai suoni del mediterraneo ("Salmodia") e dove non mancano anche componenti rock e melodie pop ("Andare"). A collaborare col gruppo, guidato da tre grandi dell'ambiente alternativo italiano, Bunna (alla voce) e Madaski (alle tastiere) e Max Casacci (alle chitarre, poi con i Subsonica), è il compaesano Luca Morino dei Mau Mau, che aggiunge la sua voce a pezzi, sì da festa ma, all'insegna della critica della società contemporanea.
Gli Africa Unite continuano tutt'oggi la loro attività (bellissimi dal vivo) in parallelo ad altri progetti interessanti quali le sperimentazioni da solista e produttore di Madaski e la partecipazione se non sbaglio di Bunna al contrabbasso nei Blue Beaters di Giuliano Palma, un altro grande della storia della musica italiana.
Ma questa è un altra storia…
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