So bene che l'album che mi trovo a recensire è già presente nel folto archivio debaseriano. Ne sono cosciente, ma spero vogliate permettermi di spendere due parole su di esso. Perchè questa è una di quelle opere, per me come per tante altre persone, che possono essere tranquillamente definite "assolute", complete, perfette nella propria composizione. Eppure badate bene: ci si trova davanti ad un album composto da ben 19 canzoni. Si potrebbe facilmente pensare, anche senza ascoltare l'album, che in esso vi siano dei brani un pò sottotono, decisamente inferiori rispetto ad altri che ne costituiscono invece la parte più importante, si potrebbe pensare, dunque, che l'opera in questione contenga più di un brano cosiddetto "riempitivo". Per quanto mi riguarda, non c'è posizione più sbagliata. "Hai paura del buio?" è un album all'interno del quale convivono frammenti di hardcore, folk, elettronica, psichedelia, jazz, grunge e persino pop, ma che non da mai la sensazione di essere confuso o dispersivo e che invece riesce ad affascinare con la classe che mette in mostra in pressochè ogni singolo attimo.

Manuel Agnelli è un personaggio di una certa statura, musicista raffinato e beffardo, colto e viscerale al tempo stesso, capace di comporre testi surreali e poetici non senza una buona dose di asprezza esistenziale, il chitarrista Xabier Iriondo sa trarre dalla sua chitarra ogni suono trovi adatto all'atmosfera delle canzoni e Giorgio Prette è un batterista che può indossare le vesti di ogni genere musicale senza affanni. Per questo un album che comprende pezzi tiratissimi e pungenti al limite del demenziale come "Dea" e "Sui giovani d'oggi ci scatarro su" (forti di schitarrate hardcore, urla da esaurimento e cadenze epilettiche) e altri pacati ma decisamente più surreali e misteriosi come "Senza finestra" e "Come vorrei" (zeppi di bizzarri effetti vocali, allucinazioni elettroniche e testi paranoici) può funzionare al meglio, senza incoerenze. In mezzo a questi due poli verticalmente opposti c'è di tutto: grunge alla Nirvana nell'emozionante "Male di miele", rock atmosferico e malinconico nella struggente "Rapace", pop scintillante in "Voglio una pelle splendida" (altro picco qualitativo dell'album) e persino numeri estremamente atipici come il jazz-rock ombroso di "Terrorswing" e l'incubo alla Melvins di "Questo pazzo pazzo mondo di tasse", con tanto di cadenza pachidermica, violino marziale e minaccioso, chitarre truculente e vocalizzi filtrati. I testi ampliano il raggio di azione di Agnelli pur non prendendo eccessive distanze dagli argomenti trattati nel precedente "Germi": l'amore esaminato (e deformato in maniera surreale) nelle sue sfaccettature più contraddittorie e dolorose, la gelosia, la satira sociale caustica e feroce, qualche accenno di misoginia e il puro, spassionato amore per i giochi linguistici. Il tutto condensato in una poetica visionaria che riesce a fondere dolcezza e violenza, odio e malinconia senza sforzo.

Ma la vera chiave di lettura nella quale l'album andrebbe analizzato, a mio avviso, è la seguente: "Hai paura del buio?" si ciba della realtà, ne assorbe le particelle più miasmatiche e cancerogene, ma le ripropone all'ascoltatore sotto forma di visioni oniriche. Ovvero: tutto ciò che costituisce l'ossatura dell'album, dai testi e le escursioni vocali di Agnelli alla pittura sonora di Iriondo e Prette è avvolto in una patina di sogno, di irrealtà, di surrealismo ipnotico e dissacrante. Il cut-up e la libera associazione delle liriche, le sfumature psichedeliche (l'intro della bellissima "Pelle", la title-track, strumentale breve ma significativo) le voci in sottofondo (i dialoghi sconnessi in "Simbiosi", le urla strazianti in "Terrorswing") e il continuo zapping musicale a cui l'ascoltatore è sottoposto durante l'assorbimento di quest'opera sono elementi che mettono in evidenza la natura subconscia e schizoide dell'album: il buio è l'anima persa nei propri tormenti, nel proprio disperato abisso di sofferenza mentre essa rigetta i "corpi estranei" che affliggono la sua esistenza: gli amori falliti, la gelosia sessuale e la rabbia misogina nel privato, l'ipocrisia borghese, la ribellione modaiola e la plasticità sfinente del mondo moderno nel lato pubblico. "Hai paura del buio?", dunque, è un'opera estremamente sofferta e personale, ma ciò che la rende un vero capolavoro è la vena artistica della band, che riesce a plasmare le emozioni in infinite forme diverse.

Chi non conoscesse ancora gli Afterhours (non fatemi sentire certe cose, sarebbe un vero peccato...) potrebbe imparare ad apprezzarli ascoltando il loro esordio del '95 intitolato "Germi", e poi proseguire nella scoperta di questa incredibile band ascoltando proprio l'album in questione.

Oh, siete avvertiti, ora non potete più dire che la musica di qualità in Italia è un miraggio.

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