Un album complesso come "I milanesi ammazzano il sabato" merita molti ascolti e un po' di riflessione per riallacciare i fili dei tanti discorsi (sia tematici che musicali) che lo compongono.

In soli 43 minuti gli Afterhours stringono ben 14 canzoni, tutte intense, senza momenti morti o riempitivi.

Rispetto ai due dischi precedenti, l'attenzione si sposta da "quello che non c'è" a ciò che riempie la vita dell'autore: la "piccola iena" è diventata una "musa di nessuno", madre di una bambina. Questo è il cardine tematico dell'album, che si apre con il concepimento ("Naufragio sull'isola del tesoro", che parte come cantilena infantile ed ha uno sviluppo quasi "sinfonico") e si chiude con una ninna nanna ("Orchi e streghe sono soli", che, al contrario, parte come ballata rock e finisce come una filastrocca).

Anche la musica segna uno stacco netto con i lavori più recenti degli Afterhours: il mood "denso", malinconico e monocorde, lascia spazio a sonorità più varie, che spaziano dalla ballata acustica a ritmiche punk e hard-rock, fino ad alcuni "loop" lontani discendenti della new-wave e qualche spruzzata soul. Anche la voce di Manuel Agnelli rinuncia ad occupare il centro della scena in tutta la sua potenza e si mette al servizio dei pezzi con duttilità: ora suadente, ora ironica, ora struggente.

Il tema "sentimentale" (in senso lato) si intreccia con altre riflessioni: "Neppure carne da cannone per Dio" è la riaffermazione del valore dell'arte vera, quella non indotta o creata dal mercato, al ritmo di un punk indiavolato (con ritornello in 7/4). La "Tarantella all'inazione" è un ossimoro geniale, la commistione perfetta tra il ballo più coinvolgente e l'assenza di movimento: sulla ritmica di una taranta un po' svisata dalle chitarre, la voce di Agnelli recita il testo, più che cantarlo, per gran parte del tempo. "Pochi istanti nella lavatrice" descrive con ironia tagliente un litigio di coppia, su un tempo in due, ancora figlio del punk, che rimescola sonorità hard-rock e soul (nel ritornello) vagamente primi '70.

C'è poi la title-track, "I milanesi ammazzano il sabato": bellissima poesia musicata in forma di ballata acustica. Dura solo 2 minuti e 15, ma vale il prezzo dell'album.

"Riprendere Berlino" è il pezzo più orecchiabile del disco: melodia semplice, riff immediato e ritmica "ammiccante", con un rullante che palpita in levare. "Tutti gli uomini del presidente" gioca a parodiare l'hard rock con un cantato in semifalsetto. Si cambia nettamente atmosfera con l'intensa "Musa di nessuno", ballata sporcata da distorsioni varie.

L'ironia torna nella descrizione di Milano assalita dai "maglioncini degli insorti" di "Tema: la mia città", un altro quasi-punk quasi-ballabile con un flauto dolce a fare il controcanto beffardo al ritornello, e nel rock 'n roll sghembo di "È dura essere Silvan", apologia della fatica di sostenere la propria immagine, sempre uguale a se stessa, "con un parrucchino in cuore".

Le ultime canzoni chiudono il discorso sentimentale: la bellissima "Dove si va da qui" è lo smarrimento, la mancanza di obiettivi comuni, con un arrangiamento a metà tra il Battisti minimalista anni Novanta e i Sigur Ros; "Tutto domani" è già la riflessione dopo che "ho smesso di pensarti" su sonorità rock di stampo USA.

Insomma, "I milanesi..." è un buon disco, che merita certamente più di un ascolto, e che regala musica di qualità: merce rara di questi tempi, almeno a livello mainstream.

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