Diversi sono i meriri attribuibili a questa band di Milano. Prima di tutto quello di avere un leader come Manuel Agnelli in grado di ideare un festival coi controcoglioni come il Tora!Tora!, e in grado di produrre album altrui di una certa fattura come i primi di quella che a mio avviso è l'unica vera rocker donna italiana, Cristina Donà. In secondo luogo quello di aver messo alla luce l'album considerato dai più come il migliore della musica italiana, ovvero il superbo "Hai paura del buio?". In terza sintesi quello di essersi nel 2002 nuovamente reinventati in stile ed immediatezza nel per certi versi spiazzante "Quello che non c'è".
Questo album viene pubblicato tre anni dopo il sottovalutato "Non è per sempre", album di cui in pochi avevano apprezzato a pieno la virata vagamente pop. Vedovi di Xabier Iriondo, gli Afterhours con questo lavoro inziano a far prendere forma a una nuova identità musicale fedele però per diverse sfaccettatture alle loro origini, come possiamo vedere nell'utilizzo di elettronica analogica e in una ricerca melodica costante. I cambiamenti però, appunto, ci sono. Rinnovate risultano sicuramente le atmosfere, decisamente più psichedeliche, e grande novità, la stesura di quasi la totalità dei testi in questo disco è riconducibile a tutti i componenti della band. I testi inaspettatamente diventano più cupi, intimisti ma sopratutto pieni di rabbia ed estrema amarezza. Scusate la banalità di questa affermazione ma "Quello che non c'è" risulta essere decisamente l'album più TRISTE degli Afterhours. Il più rassegnatamente disperato. Brani storici del gruppo(nonchè i più, se non gli unici, conosciuti dal grande pubblico, quello non specializzato)come "Male di miele", "Non è per sempre" e "Strategie" fanno parte inscindibilmente della mia infanzia, hanno fatto in modo io diventassi un grande estimatore di questo gruppo e mi hanno permesso di apprezzarne gli interi lavori. Ma se si parla di immedesimazione, se si parla di pura e cocente condivisione emozionale il mio punto di riferimento non può essere che "Quello che non c'è". Cadono giù le allegorie presenti nei lavori precenti, rimane lo spazio solo per l'immediatezza, cruda e tagliente, e per la contestazione, che sia sociale o individuale. Impossibile non rimanere rapiti dalla genialità di pezzi (con tanto di citazioni indirizzate ad Emidio Clementi) come "Varanasi baby" e soprattutto "Bye Bye Bombay", sei minuti e più di affascinanti atmosfere e autentica psichedelia, anche se il mio pezzo preferito rimane "Ritorno a casa", una canzone alla Massimo Volume che già dal primo ascolto risulta essere il pezzo più anomalo dell'intero progetto. Riuscite forse solo a metà il brano "Non sono immaginato" e la title track "Quello che non c'è".
UNA PUGNALATA ALLO STOMACO.
Vi lascio il testo di "Sulle labbra", diretta contestazione all'(in)consapevole ipocrisia che caratterizza il genere umano e se vogliamo, anche all'omologazione intellettuale.
La tua primavera è un incubo
in cui lo stato cede alla pornografia
il niente e il niente da distinguere
finchè poi non sai più cosa sentire
pensi di avere un credo
poi lo adatti a quello che sei
e come può il mio amore essere limpido
se è la mia nazione che l'inquina
so come un uomo deve decidere
ma ora non so più cosa sentire
ti ritrovi sulle labbra
a giustificarti quel che sei
anche odiare è un diritto, sai?
la tua primavera è un incubo
disobbedire acquista un senso in più
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