Il primo impatto che si ha con il nuovo disco di Agghiastru è sicuramente estetico.
Il titolo richiama il debut-cd Incantu, oggi Disincantu, e ancora la stessa protagonista in una bellissima foto d'epoca, ritratta questa volta con le vesti di sposa... Spose tormentate viste quelle descritte in questo nuovo album, e sicuramente devote alla dimensione del disincanto. Il secondo impatto lo si ha con la partecipazione di un grande musicista italiano, Cesare Basile, che, imbracciate le sue chitarre, fortifica l'arredo sonico di Agghiastru.
L'album contiene tredici canzoni dalle multiformi colorazioni. Si passa dal folk dell'iniziale "Fuì" ai ritmi latini di "Idda" o "Saru Mantici", per arrivare anche a virate desert folk rock come in "L'Ombra", l'epica "Bianco Verginale", "'Ula Arsa". Tali stravaganze musicali sono proprio spiegate dallo stesso Agghiastru (che in dialetto siciliano significa ulivo selvatico) proprio come altrettante "ramificazioni selvatiche" del progetto, dove la ricerca di una libertà estetica pretende l'esplorazione di questi diversi territori.
Il disco si fa compiutamente più opulento rispetto al passato. Il pianoforte è sempre in evidenza, ma gli arrangiamenti ritmici di chitarre e batterie riescono a crearsi spazi considerevoli. Nelle varie recensioni che ho letto spesso si accosta ad Agghiastru la vicinanza a nomi musicali quali Black Heart Procession, Cave o Tom Waits. Certo, c'è una consistente visione melodrammatica sicula (Agghiastru canta in questo disco quasi il sessanta per cento in dialetto) che stempera la visione "maledetta" degli artisti citati prima, rendendo la sua escursione poetica sulla soglia dell'umorismo nero, o dell'ironia "meriodinale", come nel caso della canzone "Campari", vivere con fatica, distante dal noto e festoso aperitivo. Tuttavia non si sbaglia.
Il traguardo è proprio quello, musica capace di fregarsene delle etichette, e in questo in tutto e per tutto "indie" e che sa ridere si sé anche quando proprio in queste apparenti visioni agro/dolci sembra non capirsi più niente... Mi viene in mente Vinicio Capossela per certi versi, un'altro anarchico talentuoso. Un'altra cosa che trovo interessante è il modo di scrivere, che a tratti può sembrare cupo, tragico, misogino, ma che rivela un'inquietudine in fondo abbastanza naturale e comune, ma con piglio poetico irriverente e mai come mera ostentazione.
D'altronde se si conosce tutto quello che Agghiastru ha fatto con i suoi Inchiuvatu, questa sua personale esperienza diventa più che comprensibile, esplorazione senza confini... e infatti il suo spazio preferito sembra proprio il deserto e il vuoto che lo colma. Sicilian desert folk rock.
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