"Ciò che è davvero insopportabile è che niente è insopportabile"
Forse qualcosa di insopportabile, però, c'è, e non me ne voglia Rimbaud se lo confuto in questa sua considerazione: che si "butti" via l'opportunità di fare un film sul leggendario poeta/veggente di Charleville riducendo l'intera opera/visione di quest'ultimo a mero romanticismo.
Mi spiego: è indubbio di come la mente fervida di Rimbaud abbia per sempre rivoluzionato il modo di fare e pensare poesia, di come il suo essere avanguardistico abbia prima sconvolto e spiazzato e solo in seguito affascinato ed attratto a sé il mondo di lettori di poesia, con le sue immagini mistiche, i suoi continui richiami esotici ad un mondo allucinato, immaginato, sognato e forse mai volutamente pensato, con la sua decisa volontà di stracciare, rivoluzionare e riscrivere la dimensione poetica tramite il proprio genio e la convinzione/condizione stessa d'essere "diverso".
Dietro a tutto questo, dietro alla straordinaria capacità del "diverso" di creare mondi a sé, regni ultraterreni mediante l'uso proprio della fantasia, della parola evocatrice e della decisione di cambiare il mondo (che fosse il mondo della letteratura o quello reale e tangibile, a Rimbaud, credo fregasse poco) si sarebbe potuto (e si potrebbe ancora oggi, se solo ci fosse gente all'altezza) scrivere un film apocalittico, sensato, volto a delineare nella miglior maniera possibile il volto (concedetemi questa licenza poetica) del vero Arthur Rimbaud.
Invece no. Il tema del film è per il 95% incentrato sulla storia d'amore (o d'amicizia, a seconda dei punti di vista) tra il giovanissimo Arthur e il più "navigato" Paul Verlaine, in particolare sulla "pazzia" di quest'ultimo, stravolto ed al contempo deliziato dalle novità che il più piccolo collega stava portando in seno alle sue capacità visionarie e alla sua (citando lo stesso Rimbaud) "ragionata sregolatezza", al punto da abbandonare moglie e figlio appena nato per poi sprofondare nello spaesamento totale e nell'alcolismo cronico.
A noi in realtà non viene mostrato il genio di Rimbaud, se non in piccolissime dosi: quello che più sembra premere alla regista polacca è di mostrare le "oscenità" derivate dallo scalpore che la coppia omosessuale destava in un'epoca e società ancora mentalmente chiuse e bigotte; della vita di Rimbaud prima di arrivare a Parigi, della sua infanzia difficile senza un padre, della ferrea severità della madre, dei suoi trascorsi poetici nella scuola e della sua intima e fondamentale relazione con il maestro d'Izambard non viene accennato nulla, tanto che il ragazzo sembrerebbe apparire dal nulla, così, puf.
E proprio per questo il film fu per me una tremenda delusione: si salvano soltanto due ottimi interpreti (uno sbarbato Di Caprio nel ruolo di Rimbaud e un superlativo David Thewlis in quello di Verlaine).
Una buona fiction, ma se vuoi fare un film su Rimbaud, cara Agnieszka, ti dovresti impegnare un po' di più.
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