<<Tremila regni in un singolo istante di vita>> (T'ien t'ai VI secolo)
ICHINEN. Uno. Un istante. Ma anche una mente. Un pensiero.
E' la vita che si manifesta in ogni momento del nostro esistere.
Passo dopo passo.
Istante dopo istante.
Ichinen. Un gioiello che si nutre del Sutra del Loto. Una rieducazione dell'individuo come mezzo per creare valore nel rispetto della sacralità della vita.
Gli Agorà svolgono in un certo senso un ruolo didattico nella palude dell'esistere oliando quei meccanismi di sopravvivenza entro i quali bisogna saper stare..
Si parla soprattutto di vita. Ma anche di morte e rinascita. Un loop circolare tra anima e corpo, tra corpo e anima.
Una fuga. Ma anche un ritorno. L'enigma del passo incerto, del dubbio. La ricerca dell'ignoto in noi stessi.
Ichinen sgorga limpido come acqua di fonte per raccogliersi in un calice a dodici tracce.
Atmosfere liquide che danno il cambio a fraseggi più sofferti. C'è mediterraneità frammista ad aperture etniche, elementi che oscillano tra fusion e scorribande jazz elettro-acustiche. Ogni tanto si strizza l'occhio a ritmi raga e a sapori di Canterbury.
Un'esplosione di colore. Un'esperienza cromatica tridimensionale. Ichinen disorienta attraverso le sue forme ondivaghe frantumate in caleidoscopici detriti di significato.
Le chitarre, spesso in dialogo tecnico, spadroneggiano con arpeggi sulfurei quasi ubriachi. Si aggrovigliano ma non si scompongono con un mood che talora sa di flamenco (Work in progress).
Una piccola gemma di bosco, forse un fiore selvatico, stilla linfa e passione (Wood of guitar).
Sono globuli salati e aromi dolciastri sui quali si distendono le linee morbide del cello. Le incursioni di sax e chitara pennellano e decorano ulteriormente questo affresco intenso e malinconico (San Quirico).
E' combustione di sogni in assenza di peso e gravità.
Tutto rimane sospeso. Tutto galleggia.
Le vibrazioni del basso acustico sono nuvole soffici che cercano la pioggia e accarezzano il cielo.
Mentre i fiati si adagiano come sabbia sulla pelle (Star strings) solo allora la terra schiude il suo petto, nutre e rincuora.
Adesso il vento si serra come nella bocca di un dio maestro, i supporti vocali collidono con le ritmiche sempre con eleganza stilografica e la melodia tracima su tappeti sonori mai invasivi (Sensei).
I rintocchi del piano sono mormorii dentro un Oceano di silenzio, talvolta fiamme ghiacciate di luce (Tre maggio).
E questa luce è un artiglio di fuoco che arpiona l'occhio ancor socchiuso.
Alla fine sul diaframma e nel ventre un tuffo. Silenzioso e sordo.
E' questo il luogo del risveglio, del dubbio, della duplicità che si fa equilibrio.
Buio e luce.
Sostanza e spirito.
Corpo e anima.
Ognuno può sentirsi troppo morto per vivere o troppo vivo per morire.
Un piacevole abbandonarsi
che sfuma
in un singolo istante di vita.
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