Sono periodi un po' così. Possono capitare a chiunque: stanchezza, giramenti, problemi vari... Le possibilità per uscirne sarebbero due, ma visto che l'opzione "prendersi una pausa" raramente è contemplata, non resta che accelerare fino a procedere per inerzia, fino a non rendersi conto di nulla. Abbiamo sempre più bisogno di certezze, sogniamo il "già pronto", la perfezione.

E' un film che, almeno una volta, ci siamo sorbiti tutti.

Nel mio caso trattiamo di un periodo alquanto nebbioso: quel famoso "film" è un tenero mattone che non mi permette di reagire, lasciandomi coi popcorn in mano, ad aspettare. Il mio istinto da piccolo psichiatra mi fa pensare che, per questo e altri motivi, il Math-Rock possa dare un qualche sollievo a questa sete. E' come sapere che 2 più 2 fa 4. Un pilastro irremovibile, cui ci aggrappiamo tutti avidamente, sapendo che è fra i pochi rimasti.

Ultimamente è diventata come una fissa: trovare qualcosa che non abbia sbavature, che non ti lasci degli spazi aperti per fantasticare, perché ormai quei tempi stanno andando. E' il momento di porre dei limiti, schematizzare (volenti o nolenti) il tempo e lo spazio.

Così mi sono affezionato agli Ahleuchatistas: i loro album costituiscono certamente alcuni dei più felici esiti del Math-Rock targato XXI secolo; è originalità pura, forse il fulcro di un intero filone musicale. I risultati ottenuti da questo trio (chitarra, basso, batteria) sono finora sbalorditivi, anche se col tempo forse non presenteranno più quella freschezza tipica degli inizi.

Fatto sta che metto alla vostra attenzione quello che per me è il più completo e allucinante dei loro lavori: "The Same And the Other", il capitolo più breve di tutti. Dopo l'imperfetto esordio "On The Culture Industry" i nostri decidono che non è più il momento di stare attenti ai gusti della massa: sciolgono perciò le catene e si danno ad una composizione rigorosa e precisa, ma anche frenetica e coinvolgente. Una formula che funzionerà alla grande anche nel successivo "What You Will".

Ora, davanti a certe affermazioni, i più prevenuti pensano (giustamente) che il Math abbia un grosso ostacolo che in pochi superano: unire alla "matematica" una melodia (o qualcosa di simile) che provochi piacere, e che non sia solo una noiosa lezione di tecnica/coordinazione/virtuosismo. L'esempio per così dire negativo potrebbe essere "OV" degli Orthrelm, quel mattonazzo inconcepibile da 45 minuti senza sosta: tutto sorprendente davvero, ma manca di certo il godimento di cui c'è bisogno per intrattenere un qualsiasi ascoltatore medio per tre quarti d'ora. Bene, il polo positivo allora è di certo "The Same And The Other", che nella sua brevità ti lascia la voglia di riascoltarlo, anche più volte di seguito. Conciso e incisivo, dal primo all'ultimo secondo.

Come per tutti i gruppi del genere, però, la celebrità è un'utopia piuttosto fondata. Ho pensato che davvero poche migliaia di persone (pochissime, direi) avrebbero potuto accedere a queste opere: in particolare, "The Same And The Other" è andato fuori stampa in breve tempo. Ma, neanche a dirlo, dopo qualche ascolto e ricerca su Internet cosa scopro? Che proprio quest'anno, a febbraio 2008 il vecchio John Zorn li ha ripescati, fatti rimasterizzare e pubblicati su Tzadik (con 5 bouns tracks)! La mia felicità ha toccato il limite nel pensare che il genio Zorn, come me, ha apprezzato questa meraviglia di disco, e le ha fatto spazio nel suo rinomato catalogo. Ciò mi dà la certezza che lo comprerò a breve, e che forse un maggior numero di voi lettori si incuriosirà. Lo spero per voi.

Non perdete questo gioiello strumentale che sfiora la perfezione compositiva, oltre a incarnare queste nuove necessità dell' Homo Sapiens moderno amante di musica (cioè io).

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