Mescolare in un calderone bollente e tempestoso le teste calde dell'avanguardia internazionale, con una certa matrice da Capitan Testa-di-manzo nel gusto dissonante e ruvido degli accostamenti (apparentemente) aritmici: uno schema inconvenzionale ma coerente, pulito negli intenti quanto pericoloso nei risultati.
Il trio americano (north carolina) è un chitarra-basso-batteria. Chitarra, fra l'altro, entusiasmante, pulita (sempre), dilatata, ci si potrebbe impostare sopra qualche arpeggio psichedelico e proiettarcisi negli anni '60. Basso definito, grosso. Batteria trainante, vera conduttrice di un gioco di destrutturazione tanto blasfemo quanto appagante nel risultato.
Schemi compositivi particolari, destrutturanti eppure matematicamente costruiti, temi imposti ora da uno strumento, ora dall'altro: altri strumenti che seguono il tema, proponendone modifiche. Ciò che risulta alle orecchie di noi comuni mortali, è un continuo movimento di destrutturazione e ricostruzione sonora, su cui si basa tutto l'album (cosa che ricorda l'impostazione molto free dell'ultimo Ephel Duath). Le sorprese non mancano, ad esempio il non-abbandono della melodia (spesso bistrattata nella continua ricerca di progresso e di avanzamento, su un piano, aggiungerei io, puramente sensoriale), che invece rientra nel programma di de-ri-costruzione sopra menzionato (Remember Rumsfeld at Abu Grahib)
Altre sorprese: accenni rapidi, stacchi improvvisi, momenti quasi grindcore (Shell in Ogoniland), come se i tre fossero pieni di un'idea di instabile precarietà, continuamente avvolti in quell'aria di minaccia da "vuoi vedere che ora io.. ?" che coinvolge però anche momenti lenti (certi attimi quasi da ricordarci del post-rock. . ) e ripartenze piene di carica (Maybe Orange), crescendo che portano alla mente, alla lontana, sempre il solito post-rock (Before the Law), accenni di feedback (I Used to Be Like You, But Now I am Just Like Me)
Come l'ho detta finora, e come credo continuerò a dire, la cosa sta molto su un piano puramente concettuale, intellettuale, estetico. Non sonoro, non emotivo.
Qua sta il bello: gli Ahleuchatistas non se la cavano male a riportare questo blabla ad un livello udibile. Il risultato coinvolge, trascina, ha dei picchi davvero straordinari, non pesa sull'orecchio, almeno non quanto il medio prodotto math-rock odierno. Dateci un'ascolto: ristrutturatevi i timpani.
Carico i commenti... con calma