"East meets west".
Il disco dove l'uomo di Coltrane, la controfigura perfetta per "Cannonball", riesce a convertire gli scettici bianchi del New Jersey ad un nuovo linguaggio animista, e li guida in una spedizione fluivale alla ricerca delle foci africane del jazz; così sono dell'equipaggio la tromba cantante di Turrentine, garantita Clifford Brown, il sax tenore di Dixon, l'usignolo di Count Basie, Il violoncello scordato di Scott, le pelli equatoriali di Cyrille e gli attrezzi di Bilal Abdurrahman, tra cui "An ancient Korean reed instrument so obscure neither he (Malik), nor Ahmed was sure of its name"¹.
A segnare la rotta il basso maschio di Ahmed-Abdul, sultano di Sennar: "A Khartoum, via Nuova York!".
Sicchè giù il cappello davanti a questo onirico attraversamento del Nilo bianco, raccontato da musicisti stregoni in istato di pura grazia.
Un "hustling" tra pepite di calypso-song al clarinetto ingioiellate di african-bop, ("The Hustlers"), space-age jazz della mezzaluna, con l'oud cullante di Malik che apre, spazzando enormi dune di sabbia, ("Nights on Saturn") e poi si abissa nel lamento di pentatoniche mahdiste ("Oud Blues"), High-Life da festa in strada ("Hannibal's Carnivals) e arabeschi di dolore per la povera Madre ("La Ybkey").
Una fotografia della storia, la quale ha affidato a uomini saggi il compito di custodire il segreto dei suoi suoni, ma nondimeno il compagno perfetto, con queste nebbie, per invocazioni e amplessi equatoriali degni del Generale Gordon. Una vera goduria.
¹ Joe Goldberg, The Music of Ahmed Abdul-Malik, New Jazz, 23 Maggio 1963
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