Il mio amico Paolo si è sposato.

Per l’occasione gli abbiamo regalato il viaggio di nozze in Giappone; ha sempre avuto una grande passione per la cultura orientale e per quella giapponese in particolare.

E così il mio amico Paolo si è sposato.

Compagno di bevute, partite allo stadio, concerti, semiserie discussioni sui “massimi sistemi” alle tre del mattino sotto l’effetto di THC, e grande conoscitore di musica. E’ per “colpa” sua se possiedo dischi di Keiji Haino, Fushitsusha, Zeni Geva e, appunto, i misconosciuti Ahousen.

Il mio amico Paolo è diventato padre. Ve l’ho detto che si è sposato vero?

Ormai ci vediamo poco, qualche concerto in zona, una birretta ogni tanto, però ci sentiamo spesso. Una sera al telefono mi fa: ‘Hei Sway, ho letto una recensione su una rivista specializzata di un gruppo underground giapponese, si chiamano Ahousen, vedi un po’ se riesci a trovare qualcosa’,

Così mi metto a cercare in rete, ma a parte il solito Scaruffi che gli dedica una manciata di righe, praticamente il nulla. Nemmeno sul tubo c’è uno straccio di canzone. Il disco (omonimo) esiste, Discogs me lo conferma, 4 tracce, pare siano sul genere noise experimental, se esiste allora di certo lo trovo su slsk, lì si trova di tutto. E invece niente, un buco nell’acqua. Certo potrei acquistarlo, ma così a scatola chiusa non mi fido, vorrei almeno riuscire a sentire prima qualcosa. Così gli do la caccia per alcuni mesi, poi me ne dimentico.

Il mio amico Paolo si è separato.

Una sera davanti a un paio di birrette ricordiamo i vecchi tempi e a un certo punto mi fa: ‘ma poi lo hai trovato quel disco degli Ahousen di cui ti ho parlato un po’ di tempo fa?’ – ‘Macché Pablito, ci ho provato ma è praticamente introvabile, l’ho cercato per un po’ di mesi, poi ho rinunciato’.

Qualche settimana dopo apro il volatile azzurro e mi ricordo della nostra conversazione della sera prima, così ci provo e….. eccolo, la primula rossa dell’underground giapponese, stento a crederci, lo metto in download prima che l’incantesimo svanisca e in meno di un quarto d’ora è sul mio HD in play.

‘Cazzo ma è un disco live’, io non amo molto i live, preferisco da sempre gli album in studio tranne rare eccezioni. 53 minuti di free jazz che mi ricorda a tratti certi lavori degli Spring Heel Jack (ma senza il razzo spaziale), il tutto però viene sconvolto, rimescolato insieme a sprazzi di folk e lunghi passaggi di puro noise. Ad accompagnare ogni traccia il sassofono e la voce straziante, a tratti disperatamente fastidiosa, quasi delirante del cantante Shun Suzuki alias Suu, che ci trasporta attraverso le tracce del disco tra incubi metropolitani e piccoli momenti di dolcezza come se l’incubo all’improvviso fosse interrotto dal ricordo di un’infanzia felice; ma sono solo attimi, poi il disagio prende nuovamente il sopravvento e prosegue, si fa largo scalpitando lungo i circa 28 minuti della bellissima traccia conclusiva (Ophelia) che avanza con incedere da ubriaco verso improvvisazioni e urla grottesche, fino ad un finale quasi rassegnato.

Il mio amico Paolo ha divorziato.

Non ci vediamo quasi più, il lavoro, i figli, la quotidianità che insegue la vita. Così una sera al telefono: ‘Ehi Paulista, ma te l’ho girato poi quel cazzo di disco introvabile degli Ahousen? No? Allora dai vediamoci stasera per un paio di birrette che te lo faccio ascoltare, è una figata!’.

Mi manca il mio amico.

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