Correva l'anno 1988 e un timido e sconosciuto cantautore di nome Aidala compariva sul mercato discografico con un EP vinilico che probabilmente passò quasi inosservato, ma fu capace di suscitare interesse tra i pochi che ebbero la fortuna di ascoltarlo.
"Oltre-Passo" uscì su etichetta Alt Music, una linea minore della ligure Videostar, proponendo due tracce per facciata confezionate in una copertina di cartone patinato che illustrava (a china) una specie di uomo-marionetta e i testi delle quattro canzoni, scritti piccolissimi tranne quello della title-track.
Un prodotto semi-amatoriale, verrebbe da dire. Ma all'ascolto di buon impatto, con un sound originale e soprattutto un'atmosfera coinvolgente.
"Spirit" - brano d'apertura - sicuramente la traccia migliore. Drum machine accattivante, un ritmo sui 100 bpm, pianoforte simile a una pianola, voce svagata e disillusa di uno che di cose da raccontare ne ha sul groppone... e le contrappunta con un bel clarino che a un certo punto concede un assolino niente male. Liriche di stampo autobiografico, un po' criptiche, che lasciano trasparire una gioventù tra disagio e sogni e un'aspirazione ultraterrena.
Non a caso il titolo dell'EP e del brano di chiusura è proprio "Oltre-Passo", volontà di andare oltre e di slegarsi da qualcosa che trattiene o forse opprime. In mezzo altre due divagazioni pianistiche e vocali sospese tra sentori cantautoriali e una sfumatura jazz, che però di jazzistico non ha nulla in senso tradizionale. Emergono reminiscenze dei primissimi Decibel, di un Faust'o edulcorato, senza peraltro suggerire un background definito. Insomma, una manciata di ballate cantate ora in inglese (con traduzione) ora in italiano che lasciano un senso di amarezza e di speranza insieme.
Certo è che questo torinese Aidala, al di fuori delle sue composizioni musicali, non diede modo di conoscere molto di sè. Ed è un peccato perchè sulla lunga distanza avrebbe potuto raccontarci cantando molti momenti interessanti. Sappiamo che aveva militato in varie formazioni rock piemontesi e che si era occupato anche di spettacoli teatrali. Un one-man-band che governava bene i suoi arrangiamenti e aveva gusto. Niente di epocale, ma più gustoso di tanti altri canzonettari pseudo-intellettuali che dalle ceneri della new wave italica tentarono di riciclare uno stato d'animo ormai liso e autocelebrativo.
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