"ARS REGIA è probabilmente uno dei lavori più completi mai partoriti dal circolo esoterico romano Ain Soph, il quale trascende il concetto di band dedicando ogni istante della propria Arte a qualcosa di superiore, un qualcosa che non è alla portata di coloro che perdono loro stessi nella spirale creata dall'implosivo vortice della modernità.”

Le parole di Marco Deplano, che presta la propria penna per la stesura del succulento libretto allegato alla ristampa del 2003, sono eloquenti nel descrivere il concetto che sta alla base della musica dei nostrani Ain Soph, ed in particolare di questa quarta opera “Ars Regia”, uscita originariamente in cassetta nel 1986.

Messa da parte la mitica trilogia, il quarto lavoro degli Ain Soph riluce di un rinnovato senso di consapevolezza artistica: l'impressione è che i Nostri non si siano limitati a raccogliere registrazioni scaturite da sessioni casalinghe e riproducenti l'esecuzione di veri e propri riti misterici, bensì che abbiano voluto concepire una vera e propria opera dal senso compiuto ed autonomo. Più che altro, rinveniamo con soddisfazione la volontà di affrancarsi definitivamente da certi (imbarazzanti) richiami all'estro inimitabile del maestro David Tibet e dei suoi fondamentali Current 93 (punto di riferimento imprescindibile per chiunque in quegli anni si volesse cimentare in campo dark-rituale), richiami maldestri che avevano ancora macchiato, indebolendoli, i pur validi predecessori. Adesso Ain Soph non ha più bisogno di maestri e linee-guida, il sound si fa incredibilmente personale, spurgato da ogni altra influenza riscontrabile nel mondo musicale conosciuto.

L'Ars Regia è ovviamente la Magia, ma evitando saggiamente di addentrarci nei misteri della Cabala (un interessante libretto di 35 pagine ne espone i tratti che stanno maggiormente a cuore ai Nostri), possiamo immaginare le sei composizioni qui presenti come autentici cerimoniali che, in quanto “musica”, coerentemente alla visione crowleyana, fungono da catalizzatori di energie per raggiungere lo stato di consapevolezza necessario per poter espletare al meglio pratiche magiche degne di tal nome. “Ars Regia” è anche il titolo dell'opera più importante dello studioso di ermetismo Giuliano Kremmerz, i cui studi, assieme a quelli di Arturo Reghini, rappresentano per i Nostri il complemento pratico del pensiero evoliano, da sempre al centro della visione filosofica di Ain Soph.

Ars Regia” è un lavoro inevitabilmente ostico, elitario per l'intransigenza con cui si avvicina alle orecchie dell'ascoltatore, un passo che indica la direzione da intraprendere in futuro, una via coraggiosa e solitaria che approderà al capolavoro assoluto “Kshatryia” di due anni successivo (un passo ulteriore che ci consegnerà l'ensemble capitolino ne suo massimo splendore esoterico, ma che saprà già innestare elementi più prettamente “melodici”). In “Ars Regia”, come spiegato in apertura da Deplano, la dimensione musicale (uditiva) è ancora subordinata all'intento concettuale, è un languido monolite di sensazioni impalpabili che ancora poco hanno a che spartire con una dimensione più propriamente musicale. “Ars Regia” è anche il lavoro più sottile, minimale, ermetico partorito dai Nostri, che per l'occasione rinunciano alle aperture rumoristiche, ai canti crowleyani, alle inevitabili percussioni, per abbandonarsi ad un insinuante dark-ambient dal forte retrogusto liturgico. I maestosi inserti di organo da cattedrale ed il flusso ondeggiante, liquido, mellifluo dei sintetizzatori, che spesso procedono a singhiozzo, a tratti muoiono per poi ri-materializzarsi dalle nebbie del silenzio, sono l'unico accompagnamento per i sotterranei recitati in lingua madre (spesso incomprensibili per via di una equalizzazione dei suoni ancora artigianale) e per i fantasmatici sibili in vocoder che infestano il lugubre viaggio. I sei brani, non molto dissimili fra loro, si muovono attraverso la reiterazione di pattern tastieristici che nei loro sali/scendi sostituiscono in toto il procedere marziale dei tamburi, spesso utilizzati in passato.

Eppure i brani, incredibilmente elementari da un punto di vista esecutivo, emanano un fascino altrettanto incredibile, custodendo in seno una forza stupefacente che ben esplica la concezione di musica “esperienziale”, strumentale (nel senso di strumento per il raggiungimento di fini che trascendono la semplice dimensione musicale) che sta alla base della prima fase artistica di Ain Soph. La non-musica qui edificata diviene descrivibile, in termini profani, come un'arcana psichedelia della mente che sa avvolgere e suggestionare l'ascoltatore anche ad un livello superficiale di fruizione, escludendo quindi anche quell'”ascolto attivo” che Ain Soph pretende dai propri adepti.

In altre parole: un passaggio fondamentale nel percorso di una delle realtà cardine del panorama esoterico-industriale degli anni ottanta.

Carico i commenti...  con calma