Ain Soph: "Una delle tre forme del nulla, del non essere, del privo di forma, l'indifferenziato originario".

Il progetto Ain Soph ha origine nella prima metà degli anni ottanta. I primi nastri, frutto di sessioni casalinghe ad esclusivo uso personale, originariamente non volte all'oggettivizzazione di un prodotto indirizzato ad un pubblico auscultante, passeranno di mano in mano; un fitto passaparola sarà la fucina tramite la quale un interesse crescente sembrerà investire il combo romano, dentro e soprattutto fuori dai confini nazionali.

Ain Soph, entità schiva e sfuggente, seppur nel corso degli anni destinata a divenire leggenda, per molti autentico oggetto di culto, se non, in certi casi, di vera e propria idolatria, non si farà certo lusingare, continuerà bensì il proprio cammino al di fuori di ogni schema, sia artistico che, soprattutto, commerciale.

In verità, in particolar modo per quanto riguarda i primissimi lavori, non parrebbe nemmeno lecito parlare d'arte, dato che il progetto nasce con "intenti magici" prima ancora che scaturire da una vera e propria urgenza artistica, quindi comunicativa: l'obiettivo è invece quello di "rendere chiaro ed accessibile [...] il termine "magia", illustrando alcune operazioni associate a questo termine", dove per magia bisogna intendere, secondo l'accezione crowleyana, "la scienza e l'arte di causare cambiamenti in conformità con la volontà".

"I", registrato nel polveroso 1984, è il primo capitolo di una trilogia dai foschi connotati esoterici che pone il collettivo capitolino fra i pionieri di un movimento sviluppatosi proprio in quegli anni sulla scia delle arcigne prodezze di act britannici come Current 93 e Nurse with Wound.

Ma è necessario, a mio parere, porre ad una dovuta distanza Ain Soph da una certa tradizione dark-industriale d'oltre Manica. I romani, piuttosto che dei geni dell'elettronica, sono dei veri incompetenti musicali, affermazione che non dovrebbe urtare più di tanto Foraenovis e Atrocity Histerics (nucleo originario del progetto), dato che non è per esigenze artistiche che nasce il loro operato, bensì per scopi prettamente rituali.

"I pezzi possono risultare scarni dal punto di vista musicale", viene prontamente spiegato nel booklet interno, e per questo l'arte sopraffina dei ben più dotati Current 93 è un'eco in lontananza lungo i solchi delle scarne ambientazioni allestite. Loop lanciati all'infinito, elementari manipolazioni elettroniche, veri e propri rituali catturati in presa diretta, percorsi dal fruscio di una registrazione imperfetta ma mostruosamente suggestiva. Giudicare "I" per le sue qualità strettamente contenutistiche è pertanto fuorviante, laddove la magia (la vera magia, non quella di Aleister Crowley!) sta nelle atmosfere morbose ricreate dal duo, attraverso una strumentazione rudimentale, attraverso i riverberi e i colpi sconnessi di oscure percussioni, attraverso lo strisciare e il sibilo di voci che si perdono, rarefatte, nelle oscure stanze dove il rito viene consumato.

Il primo esperimento di Ain Soph si spalma su quarantuno infiniti minuti, dove il tempo viene dilatato all'inverosimile, dove i luoghi descritti non appartengono certo a questo mondo.

Nella prima parte dell'opera il vibrare ondulatorio e monotematico di un suono ripetuto in loop genera estraneazione, mentre sintetizzatori deviati ed un insano rumorismo, che emerge solo a tratti, destabilizzano i sensi dell'ascoltatore: una monotonia certamente ricercata, proprio per permettere alla mente ed alla immaginazione di poter compiere il salto che il brano intende evidentemente preparare.

Stando a quanto affermato nel booklet interno, il brano costituisce "una base per facilitare l'esatta vibrazione (pronuncia) dei nomi barbari", ed il ciclo vibratorio predominante nel pezzo vorrebbe condurre proprio ad "uno stato fisico e mentale atto a fornire tale ricerca". Per le umane orecchie è in invece un ribollire elettronico dove il tenebroso rintocco di campane e percussioni ci ricorda che quello a cui stiamo assistendo è un vero rituale (il pezzo, non a caso, s'ispira al rituale "Del silenzio e della segretezza, e dei nomi barbari dell'evocazione" di Aleister Crowley, ed è il frutto dello studio dell'opera "La magia della cabala" di S.L. MacGregor Mathers).

Ben più interessanti i tre movimenti che animano la seconda parte dell'opera: un lungo excursus che, da un punto di vista concettuale, in un primo momento riprende il mantra del "Ciclo della creazione", sempre ispirato dalla lettura di "Magick" del Crowley; la porzione successiva, ispirata da un testo di Paul Hudson, costituisce l'operazione simbolica propedeutica alla "ricerca delle realtà nascoste" [...], un metodo per liberarsi di tutti i vincoli imposti all'uomo dalle sue organizzazioni sia sociali che (soprattutto) religiose"; l'ultima parte, infine, illustra  i vari compiti che deve eseguire l'"adepto esente" (così come viene spiegato nel "Liber Cheth", sempre di Crowley).

Musicalmente le tre fasi costituiscono una galleria di immagini terribili e mostruose, ove mostruosi e terribili ambientazioni si susseguono, come se, porta dopo porta, si penetrasse in un cunicolo sinistro e minaccioso, di passo in passo sempre più buio e misterioso, lungo il quale passeggiare con il fiato rotto dall'ansia ed il passo tremante per il terrore. Un violoncello suonato come da un fantasma, organi impastati che si librano nell'aria fendendo rancide ragnatele, mormorii, sussurri, rintocchi di macabri rituali (fors'anche tributari di un certo retroterra nostrano horror-prog), il raggelante grido, infine, di un soprano posseduto. In una parola: inquietudine.

Quanto a me, che dal mio canto mi difendo con un confortante agnosticismo ed un tasso (fortunatamente) basso (direi nullo) di sensitismo, non posso apprezzare l'opera da un punto di vista meramente filosofico (ci metto anche un po' di ignoranza), ma posso garantire sull'effetto suggestionante, angosciante, ansiogeno dell'insieme che questi due artigiani del suono hanno saputo plasmare. Tanto che, se musicalmente parlando non possiamo certo gridare al miracolo, da un punto di vista emotivo e delle mere sensazioni, è innegabile non riconoscere un alto valore a "I", primo scalino verso l'occulto che l'entità Ain Soph ha saputo scavare ben venticinque anni or sono.

Buone ferie a tutti, io vado un po' al mare, ci risentiamo verso settembre per il proseguo della trilogia...

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