Nel 1985, nemmeno un anno dopo l'incisione dei nastri raccolti nel folgorante debutto "I", il collettivo romano (allargatosi ad una formazione comprendente Foraenovis, Claudedi, Crucifige, A.E.R.D., Emma e Katia) dà alla luce "II", il capitolo più intrigante di una trilogia che troverà compimento nel medesimo anno con "III".

Laddove "I" era stata un'oscura raccolta di rituali ispirati per lo più alla filosofia dell'occultista Aleister Crowley, "II" è una vera sinfonia dell'orrore, di enormi proporzioni (quasi settanta minuti!), divisa in quattro movimenti, in cui gli ingredienti sonori rimangono i medesimi dell'acerbo esordio, ma orchestrati con maggiore attenzione all'organicità ed alla compattezza dell'insieme.

L'orecchio del profano si ritroverà innanzi alla medesima orrida sequenza di ambientazioni agghiaccianti, ma ad un ascolto più attento è innegabile rinvenire in questo secondo tomo uno sforzo ulteriore nella catalizzazione dei suoni e nella costruzione di stratificazioni maggiormente complesse e nell'edificazione di un corpus sonoro maggiormente coerente e meglio amalgamato nelle sue componenti.

L'industrial esoterico del collettivo capitolino rimane elementare, puerile da un punto di vista tecnico, indubbiamente al di sotto di quanto forgiato nello stesso periodo dai padri Current 93, di cui la musica di Ain Soph ricorda i lavori più ambientali e maggiormente influenzati da Steve Stapleton, mente e mano dei cugini Nurse with Wound.

Ma è bene ricordare che parliamo di non-artisti prestati ad una non-musica, e che i primi lavori di Ain Soph nascono come esperimenti sonori volti all'attuazione di determinati riti di derivazione cabalistica: un confronto con i geni industriali della scena britannica, oltre che impietoso, rimane quindi fuori luogo, dato che la musica di Ain Soph non circoscrive la sua genesi nell'idea di istaurare un flusso comunicazionale razionale con l'ascoltatore.

Senza scendere nei dettagli delle singole composizioni, "II" scava un abisso colmo di terribili immagini: immagini sfocate e liquefatte dove la mente annega, la ragione perisce poco a poco, fino a far emergere le forze dell'inconscio e dell'irrazionalità. Un placido plumbeo e denso mare il cui ondeggiare ipnotico trascina stancamente ciottoli e detriti alla deriva, un magma indistinguibile animato nel sottofondo dal brulichio incessante di esseri sottomarini tessenti macabre litanie.

Cori inquietanti e lacrimevoli narrazioni sprofondano fra i gangli di un fermento elettronico che spesso è generato dal ribollire di suoni ripetuti allo sfinimento. Secchi colpi di percussioni rituali e truci rintocchi di campana scandiscono un non-tempo in cui le categorie dello spazio e del tempo si sfaldano lasciando libero sfogo alla parte oscura della psiche. Oppure è il passo elefantesco di un gong invischiato in chissà quali diavolerie elettroniche a dettare il procedere di una oscura psichedelia dell'oltretomba. Fanno la loro comparsa anche indecifrabili fraseggi di chitarra elettrica, chiamata ad ispessire il corpus sonoro, mentre il canto, soprattutto maschile, ma anche femminile, è più presente che in passato: ingredienti, questi, che da un lato fanno scivolare la proposta di Ain Soph verso i territori rischiosi dell'emulazione della Corrente (si perde, in parte, la fosca originalità e l'intrigante efferatezza del debutto, fiorito al di fuori di ogni compromesso); dall'altro costituiscono passi ulteriori di un'evoluzione che porterà al capolavoro assoluto della band, quel "Kshatriya" targato 1988 che ancora oggi è ricordato fra i lavori più intensi ed ispirati dell'intero movimento esoterico-industriale.

Da un punto di vista concettuale, la musica qui raccolta rappresenta un rituale che richiama direttamente la tavoletta raffigurata in copertina, altresì detto "Rituale della Chiamata" o, più sinteticamente, "Chiave Enochiana": un rituale "formulato con il linguaggio enochiano rivelato a John Dee e a sir Edward Kelly verso la fine del XVI secolo da un'entità angelica" (!!!).

Com'era successo nella prova precedente, l'opera non ambisce a voler rappresentare un unico concept, bensì a passare in rassegna diversi temi legati al mondo della cabala, come quello dell'amore metafisico tra Nuit e Hadit, dalla cui unione "ogni cosa è creata, debitamente tenuta in vita, debitamente terminata nel ritorno al tutto indistinto, somma di tutti i possibili". Oppure il tema della "volontà e di come essa sia forgiata dalla sofferenza, [...] volontà intesa come guardiano del proprio tempio, formulando in tal modo il pilastro della severità a sostegno e protezione del pilastro della misericordia".

Difficile, per chi non mastica certe pratiche, poter ambire ad una piena comprensione di un'opera di tal fattispecie. Resta lecito, in particolar modo per chi ama queste sonorità, cercare di scalare l'invalicabile muro che la musica di Ain Soph rappresenta per ogni orecchio umano.

Sopravvive e trionfa, in un contesto di non-comunicazione, l'innegabile forza suggestionante di un'architettura di suoni sfuggenti ed impenetrabili nella loro essenza in cui poter sprofondare lasciandosi dietro cervello, ragione e buon senso...

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