Con "III" si conclude una trilogia ideale che intende raccogliere le prime registrazioni effettuate dalla band capitolina, quando probabilmente essa stessa non si considerava ancora tale.

Registrazioni che, è bene ricordarlo, vengono realizzate per scopi magici e non destinate, almeno inizialmente, ad essere poi diffuse come "prodotti musicali". Da qui tutti i limiti di fruizione di una non-musica amatoriale forgiata per costituire il sottofondo consono alla pratica di riti cabalistici: solo il crescente interesse, il passaparola, la diffusione sempre più capillare dei nastri, dentro e fuori dagli italici confini, porteranno i Nostri nel tempo a pensarsi come "entità musicale".

"III", realizzato nello stesso anno di "II" (il 1985), è un doppio album e raccoglie in sé un'oretta e mezza di materiale. All'abbondanza non si accorda tuttavia una elevata qualità.

In "III" Ain Soph è il solo Crucifige: venendo meno l'approccio collegiale che aveva caratterizzato i due tomi precedenti, "III" si discosta maggiormente rispetto a quanto proposto in passato (dato che "II" aveva costituito la continuazione ideale di "I"), ed a mio parere ci troviamo innanzi al capitolo meno convincente del trittico, vuoi per i limiti compositivi ed esecutivi di Crucifige, da solo alle prese con la realizzazione dell'intera opera, vuoi per la scelta stilistica che vede un progressivo allineamento ai dettami dei maestri Current 93, punto di riferimento per chiunque voglia cimentarsi in ambientazioni dark-rituali.

La prima parte dell'opera contempla il "Rituale 00", che, come spiegato nello scarno booklet, "è stato realizzato utilmente come base per un rito di Bhakti Yoga", ed "è utilizzabile anche come base per concentrazione rituale". Ne converremo che, svicolati dagli scopi sopra indicati, tre quarti d'ora circa di suoni sintetici e riverberati sdraiati su un tappeto ambientale di oscure synth non è il massimo per le nostre orecchie. Seppur tremendamente prolissa, la composizione custodisce tuttavia un suo fascino e va a rappresentare il lato più genuino ed originale di Ain Soph, entità capace di estraniare l'ascoltatore con un flusso ipnotico strascicato per decine di minuti. Al termine del nastro una voce spiega la necessità di ripetere da principio l'esperienza, come se si trattasse di un circolo infinito: non resta che augurare un sonoro in bocca al lupo a coloro che desidereranno tentare l'impresa!

La seconda parte, apparentemente svincolata da un concept, si divide in tre capitoli: "Il fallimento di Gesù", "Oscurità visibile" e "L'immondizia, la città e la morte". I brani assumono contorni in un certo senso "più musicali", ma finiscono per evocare troppo spesso il fantasma della Corrente e di certi esperimenti dei primissimissimi Coil. In particolare "Il fallimento di Gesù", l'episodio più intenso e drammatico del lotto, richiama direttamente in causa il caposaldo "Nature Unveiled": con le dovute proporzioni, la voce di Crucifige manipolate ed articolata in sovra-incisioni, ambisce a ripercorrere i singulti ed i sibili dell'inarrivabile David Tibet o, nel migliore dei casi, a riesumare il canto acido ed incazzato di Jhon Balance. Una pessima pronuncia della lingua inglese ed una registrazione fatta con i piedi non aiutano.

In particolare la resa sonora, ancor peggiore che nelle opere precedenti (non di certo dei capolavori formali) rendono più fiacchi, e a tratti risibili, se non urticanti, gli episodi successivi (totalmente sfasata la voce rispetto al contorno), mentre le solenni orchestrazioni de "L'immondizia, la città e la morte" rappresentano quanto di più melodico sia stato partorito da Ain Soph in questa prima fase artistica.

Gli ultimi venti minuti dell'opera sono invece un brusco ritorno alle ermetiche ambientazioni rituali tanto care ai nostri: quelli che sembrano essere giochi di volume di chitarra elettrica, manipolata e accelerata in sede di mixaggio, strappano via minuti della nostra esistenza senza regalare grandi sussulti, mentre il torbido reprise del "Rituale 00", corredato da un oscuro recitato riprodotto al contrario, come la migliore tradizione subliminale esige, fa correre brividi gelidi lungo la schiena, senza però appagare in pieno la mente dell'ascoltatore.

Non è quindi un acquisto imprescindibile questo "III", a meno che si voglia portare a termine la trilogia iniziata con i più che buoni "I" e "II": una trilogia che rappresenta nella sua recrudescenza i primi passi di una realtà fondamentale del panorama dark-industriale degli anni ottanta, destinata a divenire band di culto, più all'estero, in verità, che in patria.

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