"Ottobre" esce nel 2002, esattamente dieci anni dopo "Aurora". E proprio di "Aurora" "Ottobre" va a costituire la naturale continuazione concettuale. Perché, "mentre lì si affrontava il mondo della Tradizione," spiegano gli stessi autori", qui ci si immerge nella manifestazione più virulenta delle forze dell'Anti-tradizione, ossia il comunismo".
"Aurora", nel 1992, costituì il drastico approdo al mondo della musica da parte dell'ensemble capitolino, in precedenza dedito a rituali magici che con la musica avevano davvero poco a che spartire: quell'album, nelle forme e nei toni di uno strampalato rock cantautoriale, ci aveva parlato dei sentimenti di un giovane militante della Repubblica di Salò innanzi al crollo del Regime Fascista.
"Ottobre" prosegue sulla stessa scia, ma in esso i suoni si fanno evocativi, gelidi, drammatici: con "Ottobre" gli Ain Soph ci portano lontano, ci proiettano nelle lande innevate e nelle maestose capitali di quella che fu l'ex Unione Sovietica, illustrandoci lo stato d'animo di un giovane russo che deve fare i conti con il crollo del Regime Comunista.
E, soprattutto, con se stesso.
Non si tratta, tuttavia, di una semplice variazione sul tema: i due fenomeni non vengono infatti letti con le medesime categorie, ma vanno a rappresentare forze diverse e di opposto significato.
In assoluta coerenza con i dettami della filosofia di Julius Evola, i Nostri espongono così le loro rappresentazioni dei concetti di Tradizione ed Anti-tradizione, rispettivamente cristallizzate nel Fascismo e nel Comunismo. E così, laddove in "Aurora" si respiravano ardore e nostalgia, qua a prevalere sono piuttosto rabbia e smarrimento: sentimenti suscitati dall'improvviso sgretolarsi di un sistema di menzogne a cui si era creduto ciecamente fino a poco tempo prima.
La crociata degli Ain Soph è diretta non solo contro il Comunismo, visto come Male Assoluto, ma anche e soprattutto contro l'interpretazione falsata che la Storia ha consegnato di Fascismo e Comunismo, condannando senza pietà il primo, idolatrando ed osannando il secondo, nonostante che dalla caduta del Muro di Berlino in poi siano iniziati a trapelare orrori e verità fino a poco tempo prima occultati: "Non siamo degli storici, né tanto meno dei revisionisti", spiegano i Nostri, "ma ancora non comprendiamo qual è il meccanismo interiore che porta alcuni individui ad attaccarsi disperatamente al mito politico così da farne alla fine una religione".
"La fede manifestata da molti nell'ideologia rossa", continuano, "ha molto - troppo - in comune con la fede religiosa: l'accettazione aprioristica, incondizionata, irrazionale di qualsiasi dogma promanato dall'entità suprema (Dio, Lenin, Stalin ecc.) ha velato gli occhi a tutti quegli umili credenti obliando la tragica realtà di un nefasto oscurantismo politico ed umano."
E segue un lungo scritto che ci dice quanto sia brutto il Comunismo, nella sostanza ed in tutte le sue forme: uno scritto che però finisce per peccare di quella stessa faziosità pregiudiziale che i Nostri vogliono andare a colpire nei sostenitori irriducibili dell'"ideologia rossa".
Un'analisi un po' frettolosa, a mio parere, che non convince appieno, priva di metodo e che da fatti inoppugnabili salta con leggerezza a conclusioni del tutto opinabili.
Una condanna senza appello che va ad appioppare ai regimi comunisti tutte quelle atrocità e tutti quei mali (comprovati, per carità!) che sono tranquillamente trasferibili, in verità, a qualsiasi altro regime totalitario. Fascismo e derivati compresi (perché allora giudicare con due pesi e due misure?).
La solita confusione fra Comunismo e Stalinismo rende il tutto ancora più banale, mentre con ingiustificati voli pindarici si finisce per attaccare un sistema di idee che in realtà tanto male non ha fatto (e per questo basta conoscere la storia recente e riconoscere l'influenza benefica che i partiti comunisti, nel secondo dopo guerra, hanno saputo avere nelle società dei paesi occidentali riguardo ai temi del lavoro, della redistribuzione delle risorse, del welfare e della tutela degli interessi delle classi meno abbienti, società altrimenti devastate dal liberismo selvaggio ed incontrollato che sorregge le nuove plutocrazie!).
"Ottobre", contrariamente ad "Aurora", ci appare quindi un po' dozzinale nell'idea di fondo, schiacciato e strozzato da una tesi perseguita con eccessivo zelo, laddove invece l'album del 1992 ci forniva un quadro più vivace, scanzonato, ironico, ricco di sfaccettature e di acute penetrazioni sociologiche.
"Uljanov", per esempio, apre le danze con frasi del tipo "per voi del Cremlino pieni di boria, non più bandiere, niente più gloria, e voi lì dentro, ladri ed infami per il sangue versato pagherete domani", mentre "Falce, Svastica e Martello" ci parla degli inciuci fra Stalin e Hitler intenti a spartirsi, alla faccia degli altisonanti proclami propagandistici, i paesi dell'est (veramente puerile il testo che recita: "Chi l'avrebbe mai pensato: Zio Josief e Zio Adolph si dividono il bottino mentre bevono il vino! Falce Svastica e Martello, la Polonia è roba nostra! Falce Svastica e Martello, la Polonia è roba nostra! A noi Compagni da ammazzare, a voi Ebrei da sterminare!").
E la musica? Beh, la musica è l'ennesimo atto di coraggio di un'entità libera che non sembra fermarsi davanti a niente: con "Ottobre" il rituale degli Ain Soph viene celebrato sotto forma di un rock elettrificato, che non disdegna momenti acustici né passaggi psichedelici (il fantasma dei tardi CCCP è forse il paragone più calzante).
Sette pezzi assai lunghi (quasi un'ora la durata dell'intero plico!) che poco hanno a che fare con lo scarno cantautorato di "Aurora": una chitarra elettrica che, fra riff cadenzati e lunghi assoli, si ritaglia un vero ruolo da protagonista; una batteria sempre presente, fischi e rumori, un organo stonante, cori sovietici, solenni orchestrazioni e quant'altro occorra per portarci con la mente nell'ex Unione Sovietica. "Ottobre" si conferma così il frutto genuino di una non-band che continua a perseguire i propri intenti assolutamente incurante delle logiche che animano il mercato discografico.
Il sound, nonostante si riveli più corposo ed articolato che in passato, è tuttavia continuamente minato dalla scarsa preparazione tecnica dei musicisti coinvolti e dalla consueta approssimazione nel confezionare il tutto (in particolare le parti vocali, a tratti urticanti, che potevano senz'altro essere meglio gestite).
Ed anche se non ci stupiamo oltremodo, dato che la padronanza degli strumenti non è mai stata di casa, a smorzare gli entusiasmi è una stanchezza compositiva che emerge a singhiozzo durante il fluire dell'opera.
Buone intuizioni si alternano a passaggi non proprio esaltanti, e a salvarsi sono la bellissima "Le Nevi Eterne", un lentone evocativo che costituisce senz'altro l'high-light dell'album, e "Morte e Disonore", altra ballata che, sapendo ben miscelare tesi di fondo, immagini poetiche e sentimento, ci riporta ai fasti di "Aurora".
"Cavalieri nel Tempo", "San Pietroburgo" e "Koba" sono invece polpettoni colossali, claudicanti, a tratti difficilmente digeribili, che hanno il solo merito di saper coniugare la nuova veste rock ai mantra sonori delle origini.
Insomma, un album che incontrerà senz'altro i favori di chi ha apprezzato "Aurora", anche se, a mio parere, per brio ed ispirazione rimane un gradino sotto al suo illustre predecessore.
Un album che, nonostante la faziosità di fondo, ci lascia con un insegnamento in realtà valido per tutti, a prescindere dal proprio credo politico. Perché, come spiegano gli stessi autori, "rispetteremo sempre chiunque creda, combatta e muoia per un ideale, ma quando l'ideale si rivela errato...bisogna avere il coraggio morale di fare i conti con se stessi. Gettare via tutto ciò in cui si è creduto per rigenerarsi e ricominciare. Smettere d'essere credenti per cominciare ad essere uomini."
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