“Chiudi la porta“. L’ufficio è la trasposizione fotografica del deserto dei Gobi; fa tutto parte della sceneggiata oramai in rampa di lancio. “Prego, siediti” mentre con il braccio descrive un semicerchio storto che termina il suo viaggio su una sedia dietro la scrivania in legno. Sedia che, ovviamente, fa parte anch’essa del teatro ed è rigorosamente più bassa rispetto alla sua; quella che ha l’onorevole compito di sorreggergli le chiappe. Peccato che il castigatore sia basso e che le due teste siano ora, in culo agli sforzi profusi, alla medesima altezza. Inizia con un sospiro forzato che esce assai più forte del preventivato. Attore di merda. Chissà quante volte lo avrà fatto, per sentirsi forte, per sentirsi qualcuno e mettere in soggezione l‘altro. Le parole scivolano: non le ascolto quasi. Cerco di farlo al meglio anche se non piace, sto lavoro. Il fatto è che questa tirata d’orecchi con cadenza trimestrale non la sopporto più. Settimana scorsa alla mia collega: oggi a me. Come se volesse ricordare che il capo, il Capo è lui. Ogni mattina mi dico “devi solo trattenere il respiro per altri 2 anni“. Mi fa pietà quest’uomo di mezza età. Non riesce nemmeno a guardarmi in faccia per due secondi: sembra stia recitando una cazzo di poesia alle elementari. Ogni tanto se la dimentica e quasi balbetta. Gli occhi, repentini, vanno alla ricerca in alto a sinistra dell’appiglio giusto per riprendere la tiritera. Patetico.
“Non voglio farmi gli affari tuoi, sei liberissimo di avere la tua vita privata, ma”. Ma vuoi farti i cazzi miei mi verrebbe da dirgli. Detesto queste frasi puerili. Non sono razzista, assolutamente, per me ognuno può fare quello che vuole, ci mancherebbe, MA se uno sporco negro si scopa mia figlia giuro che lo ammazzo. Decido di spegnere il cervello, limitarmi a monosillabi e finta comunicazione non verbale. Sono patetico anch’io. Quando spara cagate di elefante come l'amicizia dopo lavoro, la tentazione di alzarmi in piedi e dirgli guardandolo in faccia “ma vaffanculo” è forte. Serro i denti: ci penso e poi sto zitto. Dopo 15 minuti sembra essere soddisfatto. Lo fa per il mio bene, perché ho potenzialità, per raddrizzarmi e per il mio futuro. Per Raddrizzarmi?! Rimbomba questa parola tra le ossa della scatola cranica come la voce in una stretta vallata di montagna. Crede che sia una cazzo pianta? Sorride pure, perché mi ha bastonato ma al contempo rassicurato; potesse si strapperebbe il braccio per stringersi la mano. Avesse il video se lo riguarderebbe perché crede di aver dimostrato la sua forza e ora è pure magninimo e mi chiede se voglio bere qualcosa. Un nanosecondo e la scusa esce falsa e palese come una scritta al neon di notte.
Il nodo alla cravatta dopo 2 soli minuti vola e mai note furono più liete. Abrasive come i riff e la voce di Joel O’Keefe e così mi ritrovo a cantare ed urlare al semaforo con lui gli inni di queste canzoni d’impatto del loro secondo album “No Guts, No Glory". Sono 10 giorni, oramai, che mi fa compagnia e lo so a memoria. Ho bisogno di compagnia e con una mano scrivo un sms per organizzare una sana serata scanzonata e leggermente alcolica. La macchina si riempie: una, due, tre coppie di piedi più o meno puzzolenti si incastrano nell’utilitaria color amaranto e le casse inondano hard rock stagionato proposto in chiave moderna. Il grigiume della settimana è dietro le spalle e premendo un po’ il pedale fascista lo seminiamo già alla seconda traccia. Sezione ritmica grintosa e coro spudorato per un distillato di pura energia nella scanzonata “No Way, But The Hard Way”, capace di addirittura farci rimanere nel parcheggio dell’autogrill per aspettarne la fine in sfumando. Le note oltrepassano agili i vetri e le famigliole di automobilisti ci squadrano scuotendo la testa. Arrivati al locale, quella tana sporca dove si può ballare sui tavoli una volta finito di mangiare, le nostre corde vocali sono oramai alla frutta ed il cd è esausto. “Rimetti su "Blonde, Bad And Beautiful”: con quel ritornello e riff è in effetti una marcia ipnotica e memorabile. A gran voce tornano prepotenti le richieste per l’opener aggressiva “Born To Kill” e le spinte ritmiche di “Raise The Flag”. Ma alla fine sono davvero poche le dame dell‘intera tracklist che non hanno il loro momento sotto l‘occhio di bue delle nostre orecchie.
Il locale si riempie lentamente e le ore, innaffiate da liquido ambrato, scorrono liete. I denti, nella settimana spesso rinchiusi dalle ermetiche labbra di visi perennemente incazzosi, stressati o tesi, prendono finalmente aria. Ci scambiamo tra persone mai viste nomi di gruppi mentre 4 pazzi senza talento maltrattano i loro strumenti. Con qualche ragazza ci scappa pure qualche numero che forse non verrà mai digitato e poi, quando siamo oramai in procinto di levare le tende, ecco giungere dalla casse “No Way, But The Hard Way” che ci prende per il collo e ci ributta in pista manco fosse il gol di Grosso ai mondiali. Le note quasi non le riconosco, ma mi sento felice e leggero distante anni luce dal posto buio e tetro dove stavo solo un pugno di ore fa. Come aveva detto qualcuno: "non fanno nulla di nuovo, ma lo suonano bene". Molto bene. Con una verve ed una forza fuori dall’ordinario “Niente palle, niente gloria“ è un disco quadrato, semplice e affidabile che non mi lascerà a piedi in mezzo a una strada: proprio come la mia vecchia macchina color amaranto. Forse verranno massacrati dalla critica più intransigente. E’ palese e scontato che con fastidioso e spocchioso fare queste 13 tracce saranno lapidate come una mera e inutile copia degli AC/DC. Ed è vero che hanno preso più che tutto dai fratelli Young: nazionalità, riff, sezione ritmica, stile e attitudine alla sede live. Il fatto è che con tutta sincerità, anche se mi sforzo, non ne vedo proprio il lato negativo; perché dall'hard rock non pretendo originalità. Voglio solo sentire passione nel suonare e ruvido divertimento per una sana valvola di sfogo che gli AC/DC non mi danno più da secoli.
Lunedì arriverà presto. Lo so, ma vi ringrazio lo stesso Airbourne.
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