Pura e maligna schizofrenia musicale/concettuale anima le gesta di questi quattro alteri ed elitari alfieri dell'extreme metal albionico.

In circolazione ormai da più di un decennio, Jason Mendonca e soci possono vantare all'attivo ben 5 full lenght uno più psicopatico, satanico e sessista dell'altro, il tutto condito con un atteggiamento intellettuale e signorile, evitando inutili pose e ridicoli face painting.

Oggi vorrei prendere in considerazione l'album che, più di ogni altro nella loro discografia, a mio parere ovviamente, si presenta come un anomalo connubio di equilibri sull'orlo del precipizio della follia musicale: "Choronzon" (detto anche "il demone della dispersione" identificato con il Guardiano dell'Abisso, il cui numero è 333).

L'ignaro ascoltatore che si accinge ad inserire tale capolavoro nel proprio lettore cd verrà letteralmente trascinato in un universo parallelo fatto di pratiche occultistiche enochiane e di riferimenti lovecraftiani conditi da un furore cieco e sanguinario, malato e consapevolmente maligno fino al midollo.

Dal punto di vista strettamente musicale ci troviamo di fronte ad un'incredibile mescolanza di generi e stili, mai assemblati caoticamente o causalmente: black metal, brutal death, richiami dark e gothic rock, elettronica, interludi degni dei Dead Can Dance, agghiaccianti sample da sedute chiaramente necromantiche (vedasi l'opener "Praise the Name of Satan"), il tutto avocato alla figura dominante del frontman e chitarrista Jason Mendonca (capace di virare da un marcio growl alla Suffocation, al classico scream black norvegese, passando per momenti in cui mostra un trasporto ed una passione interpretativa davvero notevole quando decide si cantare pulito e tonante) e dal drumming impazzito ed epilettico del fido David Gray.

Ora, se si decide di vivisezionare le singole songs, potrete notare come le componenti brutal non sono particolarmente originali, cosi come non lo sono neppure quelle black, ma è sconvolgente come i nostri depravati siano in grado di passare dall'una all'altra senza minimi decadimenti o cedimenti: in più hanno la capacità di aggiungere sapientemente farina del loro sacco (e qui di originalità ce n'è da vendere) creando stacchi ed atmosfere a volte terrificanti, orrore allo stato puro, a volte deliranti e contemporaneamente sognanti (quasi romantiche).

Insomma, un folle caleidoscopio musicale (impreziosito da una miriade sconfinata di riff, cambi di tempo, struttura ed una notevole dose di tecnica individuale) dal quale emergono la già citata opener "Praise the Name of Satan", il singolo "Leviathan" da cui è stato tratto un succulento video fetish, "Son of the Morning" e la conclusiva ed operistica "Goddes flesh".

Per palati fini e stomaci forti.   

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