È facile prendersela con Cristo. Certe volte capita anche a me che sono banale e senza borchie e senza face painting. Qui, però, certi superficialismi non ci sono mica. Cioè. Un po’ lo tirano in causa, ma non fin dal titolo come avveniva in passato, ad esempio nel casto Rape Of The Bastard Nazarene.
Tirando le somme, degli Akercocke andrebbe ascoltato solo sto disco qua. Prima c’è il percorso, le idee abbozzate, una valanga di insulti ai principali protagonisti del calendario cristiano e uno spirito maligno evocato un po’ alla cazzo di cane, con modi calboniani da parvenu. Insomma, roba vecchia che non reggeva il confronto con Norvegia e Florida. Invece in questo album c’è la bestia per davvero.
A dare un tono elegante ed aristocratico ad un’orgia di generi feticci e feticisti ci hanno provato tanti. Nomi tipo Truzgulaggdrasjiijijsijsisxxxll taggati come extrasatanicpornogrindsuperblackmetalbandchefapuredarkebmetuttelecosescure non mi hanno mai attratto. Invece, questo gruppaccio qui proveniente dalla solare terra dei punk, con un frontman dalla denominazione ibrida (Jason MendoÇa), un po’ Ribeiro un po’ Benton, ho voluto provarlo. E mi ci sono divertito.
Il genere proposto è un blackened death metal, a voler esser depennatore di improbabilità. Cioè, ci rientrerebbe una superdefinizione che vi voglio risparmiare: non sarebbe d’uopo, si rischierebbe di renderli ridicoli più di quanto già non si ci rendano loro, vestiti da cafonazzi arricchiti e parasatanici (per esempio qui), sempre con una porcona seminuda accanto e neanche di pregevole qualità (a questo punto, diciamola tutta).
La copertina introduce ad una specie di antro della sibilla di Greenwich in cui succede un po’ di tutto. Rispetto a Choronzon ci sono due chiappe in meno sul booklet, ma un po’ di sex appeal in più. Entri dentro questa storia e finalmente trovi un po’ di ordine. Le potenzialità inespresse del passato qui vengono prese una ad una e disposte secondo una soluzione razionale che incasella a dovere aspirazioni e ambizioni (ma davero?) della band: growl di vario tipo non sono più berciati con furia ottusa e ignorante, idee di controtempi gotici qui non vanno in controtendenza rispetto a se stesse, non restano con le dita intrecciate in un nervosismo indissolubile, ma si dividono creando richiamini ai tempi del prog e fraseggi in stile gothic come si deve. Insomma, in questo album c’è una band che trova il controllo di se stessa e la smette di specchiarsi in proclami e declamazioni musicali con molte promesse poco mantenute.
E quindi grande proprietà di linguaggio e canzoni che mutano all’interno di se stesse in maniera repentina ed inattesa, fecondando il death metal classico con passaggi brutal dal blastbeat che ti percuote dentro, con il black metal più maligno e con dei punti di raccordo gothic/vagoprog davvero ben strutturati. Le modalità vocali si alternano a seconda del del genere che va in scena: orso, orso incazzato, orso scorticato, orso imbufalito, orso posseduto. Scherzi a parte, MendoÇa fa il diavolo a quattro (!) per riuscire. E ci riesce.
Di rimandi ad altre band del genere ce ne sono, ma per la loro età si potrebbe dire che qui c’è una idea propria di come fare questo tipo di musica, venuta fuori da un percorso che giustifica tutto ciò.
Li ho riscovati facendo una ripassata di metallo pesante. Li suggerirei a chi ha voglia di ascoltare buone ruvidità che vengono dall’anonimato.
Ah, questa recensione c’era già. Ma, insomma, come tutte le altre sul gruppo tende a magnificarne una forma che, davvero, non coincide con la (buona) sostanza. Prendiamoci alla leggera.
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