Esterno notte.
Telecamera fissa e primo piano su una pozzanghera.
Piove.
Ideogrammi giapponesi bianchi, i titoli di testa.
Una musica lugubre, grassa, tetra e vagamente minacciosa.
Inizia così “L’angelo ubriaco” (Yoidore tenshi) ottavo lungometraggio di Akira Kurosawa, all’epoca 38enne.
Due sono i protagonisti. Sanada (Takashi Shimura) è Il dottore, l’angelo ubriaco. Matsunaga (un giovane Toshiro Mifune, qui al suo esordio) è il malvivente. Intorno a loro, un piccolo villaggio povero e lercio ( simbolo di un Giappone devastato dal dopoguerra) circondato da una fogna a cielo aperto dispensatrice di tubercolosi.
Matsunaga se la becca, il dottore, un alcolizzato dai modi un po’ troppo bruschi, cercherà di curarlo.
Il giovane Matsunaga è bello, forte, ha i soldi e le donne, è praticamente il capo del villaggio, fa parte del clan degli Yakuza, un vero spaccone ma adesso ha anche la tubercolosi.
Davvero una strana coppia (questi due attori saranno gli attori-icona di molti film a venire del maestro levantino).
Il film è bellissimo. Loro due sono straordinari, i dialoghi sono magnifici.
Quello che mi ha colpito di più è l’atto di accusa di Kurosawa a dei veri e propri capisaldi della millenaria cultura giapponese. A proposito di onore e fedeltà incondizionata a costo della vita, di feudatarismo, concetti cardine del samurai e del suo signore e di riflesso dei mafiosi e dei loro sottoposti.
A proposito del concetto di “proprietà” di una persona, di una donna ad esempio, intesa come un oggetto.
Kurosawa, per la prima volta libero dal giogo censoreo imposto a quei tempi, chiaramente molto restrittivo, si lancia in un atto di accusa senza mezzi termini contro tutti questi aspetti. Lo fa per mezzo del dottore, sciatto e alcolizzato ma dai forti principi etici e morali, un giusto nel vero senso della parola, un uomo che porta, a dispetto del suo aspetto e della sua condizione, sempre in alto la bandiera della razionalità.
Memorabili i suoi je accuse “i giapponesi fanno spesso cose inutili e stupide” “è ininfluente che lei sappia se sua moglie è qui o meno se lei non la vuole più vedere… ha mai sentito parlare di parità dei sessi?” e non sto a dirvene altre perché non ricordo già più bene le parole ma sono dei veri e proprio macigni, pietre catacombali su tante stronzate antiche giapponesi. Stronzate eh sì, le chiamo così perché la penso come Kurosawa.
A valle di ciò ho fatto un’altra considerazione: mi è capitato spesso di notare che i grandi artisti della storia di ogni epoca e di ogni forma d’arte, sono spesso al di fuori della loro epoca, della loro latitudine, anzi non al di fuori ma al di sopra. Sono uomini senza tempo, davvero poco contaminati nel cervello, o per nulla, dalla cultura e dalle convinzioni dei loro tempi.
Questo è per me una caratteristica sintomo della vera grandezza, non solo artistica.
Quando la grande arte in un uomo è accompagnata dalla grande personalità nascono i maestri.
Carico i commenti... con calma