"Che cos'è l'amore"
Sembrano chiederselo (e chiedercelo) spesso gli Akron/Family, lungo le 11 tracce di questa loro nuova fatica. Risposta univoca non esiste, la sfera emotiva è quanto di più soggettivo ci sia e ognuno è libero di collegare la parola "amore" a situazioni/persone/cose sempre diverse. Ecco perché è cosa buona e giusta innamorarsi della musica e di dischi come questo, volendo pieno di debolezze e imperfezioni, ma figlio di una sincerità e una devozione encomiabili. E forse è già nel titolo la chiave di lettura di "Love Is Simple" e, in scala più ampia, dell'intera produzione dei giovani Akron/Family: la semplicità. Intesa come trasparenza, l'essere ciò che si vede, senza maschere o intellettualismi musicali di sorta. Un po' come l'amore appunto. Se c'è, c'è e basta. Non si può forzare né reprimere. Per questo forse l'amore è veramente più semplice di quello che lo dipingiamo, come anche un disco può candidamente piacere, senza dover per questo stimolare elucubrazioni. Suoni puri e semplici, per sentimenti e immagini di immediata fruizione, ma con un prolungato retrogusto.
E allora capita di lasciarsi cullare dai coretti boy scout di canzoni dai titoli inquietanti ("Don't Be Afraid, You're Already Dead"), o da inni post freak quasi banali nel loro messaggio umanista ("Love, Love, Love (everyone)"). Ma non è forse questa l'essenza della musica? Non risiede proprio nel cuore ritratto in copertina la fonte da cui sgorga la musica?
I quattro Akron/Family lo hanno capito da tempo, e si cimentano in un caleidoscopico tributo all'amore in generale e ai loro amori musicali in particolare. Tralasciando poco o nulla: l'India dei raga con virate tribali ("Lake Song/New Ceremonial Music For Moms"), la California allucinata dei Grateful Dead unita a visioni gospel ("There's So Many Colors"), ninna nanne che trasfigurano in incubi lisergici ("Ponys OG"), accartocciamenti da cabaret zappiano ("I've Got Some Friends") e il marchio di fabbrica della ditta, attitudine gioiosa da chiesa Pentecostale, svisate country folk e bordate free jazz ("Ed Is A Portal" e "Of All The Things"). Ma forse la definizione migliore della loro musica la danno i diretti interessati in "Phenomena":
"Things Are Not What They Seem, Nor Are They Otherwise".
Tutto e il contrario di tutto, quindi, come a voler sopire sul nascere possibili dietrologie sui loro fini artistici. Così siamo, prendere o lasciare.
Io prendo.
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