“Questo viaggio esperienziale …l’ho intrapreso cercando di ridar vita alla Natura con il mio lavoro, suonando i semi per fare rinascere le foreste…” *

Sorrido, leggendo le parole di Walter Maioli, “leader” degli Aktuala.
Sorrido mentre ascolto i semi suonare e osservo le foreste scomparire, seduto di fronte al monitor mentre le casse diffondono nella stanza i suoni de “La Terra”.
Secondo album, dopo l’omonimo esordio, per il collettivo milanese guidato dal muziekmagier, realizzato nel 1973 e pubblicato per la Bla Bla l’anno successivo, rappresenta una testimonianza strabiliante di quel fermento, non solo musicale, che serpeggiava anche in Italia nella prima metà degli anni ’70 coinvolgendo aspetti ideali, politici, emotivi ai quali il vento del ’68 aveva spalancato le porte.
Ma se questi riferimenti, che ritengo comunque indispensabili, possono sembrare mossi da un intento retorico, la musica che gli Aktuala consegnano agli ascoltatori provenienti dal futuro è invece di una indiscutibile concretezza.

E’ uno dei primi esempi di quel che oggi siamo soliti a chiamare world music.

Lo è perchè sceglie di rappresentare un bisogno che viene vissuto come irrinunciabile: la consonanza con gli elementi vitali e fondamentali. Siano essi tangibili, come le fronde degli alberi che consentono il nostro respiro, o immateriali, come i desideri che ci attraversano.
Lo fa eleggendo l’ ”organicità” del suono come veicolo più diretto per raggiungere questa consonanza.
E assimilando in questo disegno moduli e ritmi che originano da luoghi diversi del globo. Come avveniva altrove, in misura e forma diversa sia nel jazz che in alcune derive del “rock” più sperimentale, ma con un’attitudine che pare favorire una sorta di spontanea naturalezza del processo creativo.

Lo fa, per esempio, rinunciando alla batteria in favore di uno stuolo impressionante di percussioni
provenienti da tradizioni e culture altre: un vasto campionario assemblato in anni di studi e ricerche, che in questo disco Maioli affida ad un giovane Trilok Gurtu che viene così iniziato alla poliedricità della musica etnica.

Lo fa stratificando i suoni in direzioni che non paiono svilupparsi secondo una composizione preordinata, ma seguendo una corrente che asseconda le suggestioni stesse evocate da quei suoni.
Non di improvvisazione in senso jazzistico si tratta, piuttosto di un flusso sorprendentemente “naturale”, reso possibile dall’indubbia preparazione dei musicisti che prendono parte al progetto, in una sorta di “comune” musicale che vede convivere esperienze diverse.
Provenienti dai conservatori come dal jazz improvvisato o dal “rock” psichedelico, profondi conoscitori anche della musica popolare non solo italiana, trovano un’intesa ed un equilibrio armonico davvero sorprendenti, che lungo le quattro tracce dell’album rilasciano momenti di ipnotica e avvolgente bellezza.

L’apertura, che affida ad un armonica un tema che si scioglierà nel tessuto sonoro per riproporsi più avanti, profuma già di terra: lo spirito di una carovana in viaggio che ci cattura nel suo percorso.
Un percorso che consentirà l’incontro con la fascinazione orientale per la ciclicità, con l’ipnosi di una percussiva trance africana e con la profondità segnata dalla cavata di un violoncello, per giungere ad uno spazio più aereo disegnato dai fiati, anche questi di origini diverse, o dall’arpa. In un originalissimo e cangiante impasto sonoro che si srotola senza soluzione di continuità.

Siamo in viaggio con loro, ancora oggi, ad oltre trent’anni di distanza, appena “La Terra” inizia a girare.
E non possiamo dimenticare che quel che oggi può suonare quasi scontato, assimilato nel corso dei decenni a venire, era all’epoca una vera esplorazione di altre derive della musica popolare.
Un viaggio che gli Aktuala hanno concluso poco più tardi, con un terzo disco “Tappeto volante” realizzato nel ’76, dopo un trasferimento in Marocco.
Sono riuscito a reperire per ora solo i primi due, ed ho scelto di accennare a questo per ragioni esclusivamente “sentimentali”. Ma non ho alcuna esitazione nel suggerirvi il primo, meno immediato, con alcuni echi d’un certo jazz “sperimentale”, ed anche quel “Tappeto Volante” che non riascolto da troppo tempo.

Credo, insomma, che l’opera di riscoperta del patrimonio musicale italiano di quegli anni, che anche in DeBaser è testimoniata dall’interesse di molti ascoltatori anche giovanissimi, non dovrebbe tralasciare questi dischi: così originali negli intenti e nei risultati, così in anticipo sui tempi, così irriducibilmente onesti, cosi profondamente e semplicemente belli.

* da un'intervista

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