I soli due anni che separano "Between The wars" del 1995 dal precedente album "Famous Last Words" sono l'intervallo di tempo più breve tra due uscite discografiche di Al Stewart dal 1980 ad oggi, e lasciano intuire la ritrovata e florida vena creativa dell'artista di Glasgow che, dopo una ripartenza in grande stile, prova a spingere sull'acceleratore ponendosi una nuova sfida, ovvero il primo concept album della sua carriera.
Come facilmente intuibile dal titolo, AS mette a frutto la sua vocazione di cantore della Storia e focalizza la sua attenzione su uno dei periodi più cruciali e tumultuosi del Secolo Breve, ovvero il ventennio intercorso tra le due Guerre Mondiali, anni di contrapposizioni, di attriti, di mutamenti radicali nella società e nel costume che AS aveva già esplorato in canzoni stupende come "Warren Harding" e "The Last Days Of June 1934". Qui però la sfida è molto più ampia, Al Stewart intende rivivere quegli anni non solo attraverso gli avvenimenti che li segnarono così profondamente, ma anche rispolverando sonorità ed atmosfere tipiche dell'epoca; una sfida non facile, affrontata con passione e massimo impegno, che risulta stravinta dal punto di vista autorale, mentre l'esito musicale appare un po' più grigio, difficile da valutare con esattezza, ma posso affermare che in senso assoluto "Between The Wars" non rientra tra gli album più ispirati del Nostro.
Non fraintendetemi, BTW è un prodotto di grande qualità che sfoggia molte canzoni memorabili, ma a tratti suona leggermente datato e sembra mancare di un po' di spontaneità, come se quella di Al Stewart fosse una riproduzione pedissequa piuttosto che una rilettura personale. Nonostante questo, l'album è carico di fascino oltre che di storia; particolarmente vivide, efficaci e ben riuscite due canzoni che riprendono gli archi tipici della tradizione popolare slavo/balcanica, la drammatica e dolente "Joe The Georgian", con il grido di vendetta delle vittime delle epurazioni staliniste che idealmente risale dall'inferno, "There's Kamenev, Zinovev, Bucharin and the rest, we're sharpening our pitchforks and we're heating up the ends, we've got a few surprises for the mate when he appears, I hope he likes the next few million years", e "Night Train To Munich", ispirata ad un celebre film del 1940, che rievoca perfettamente un'atmosfera da thriller spionaggistico d'antan, pieno di segnali, messaggi in codice, atmosfere notturne e fumose e personaggi che agiscono come pedine di un gioco tragico. Dal vecchio al nuovo mondo, Al Stewart riporta in vita l'America felice e spensierata della presidenza di Calvin Coolidge, che celebra il suo nuovo grande eroe in "Lindy Comes To Town", ignara del baratro in cui sarebbe piombata di lì a poco, e i subdoli e sciagurati giochi di potere del trattato di Versailles presieduto da T. Woodrow Wilson e compari "illuminati", elegantemente messi alla berlina con la satira di "A League Of Motions", in cui i potenti di allora appaiono alla stregua di bambini litigiosi intenti a spartirsi un baule di giocattoli, mentre la delicata e toccante "Marion The Chatelaine" ripercorre le vicende dell'icona glamour Marion Davies, gli scandali della ricca ed annoiata Hollywood visti in un'ottica più intima, umana e sensibile. Europa, America ma anche un po' d'Asia, l'Indocina con le sue tradizioni antiche, i suoi paesaggi naturali fotografati nella placida ed estatica "Sampan" con il suo evocativo sax, insieme alla presenza lontana ed estranea dei colonizzatori francesi. Alla fine il corso degli eventi sfocia in una malinconica ballad crooneristica come "Laughing Into 1939", arricchita da violini dolenti, una melodia stupenda e cristallina, che tocca le corde del cuore nel più puro stile di Al Stewart, mettendo a fuoco quella sensazione di forzosa festosità, di inconscia e malcelata tragedia imminente che precede le grandi tempeste; le ultime parole dell'album sono "Out on the balcony come the king and queen and the crowd go wild, he's a little bit nervous but that's just fine, and the're laughing, laughing into 1939", poi solo musica, solo l'inquietudine, la cupezza mitteleuropea di "The Black Danube", un fiume che scorre, la storia che segue imperterrita il suo corso.
Come ho già accennato, purtroppo non tutto l'album si attesta su questi standards qualitativi: la delusione più evidente è senza dubbio "Always The Cause", non che sia una brutta canzone, anzi, il lavoro di banjo e violini è molto suggestivo ed evocativo, ma la guerra civile spagnola è un argomento che meritava di essere proposto in tutt'altro modo, con riflessioni più profonde, e questa canzone sembra quasi una cartolina folkloristica un po' stereotipata. "The Age Of Rhytm" con il suo swing elegante si fa apprezzare per il suo ritratto cinico dell'alta società newyorkese con le sue nevrosi e paranoie, ma musicalmente lascia un po' freddi per la sua staticità vagamente altezzosa, così come la ballad di mestiere "Three Mules", sulle politiche ambigue e conniventi con Hitler del governo inglese negli anni '30. "Between The Wars", un progetto non semplice, di altissimo valore letterario e decisamente coraggioso e anti-commerciale nel suo fiero anacronismo, segna anche l'atto conclusivo della produzione di Al Stewart negli anni '90: due soli album ma tanta qualità, prodotti di un artista che ha pienamente ritrovato sè stesso e da lì in avanti riuscirà ancora a migliorare, non prima di "brindare", a modo suo, al fatidico terzo millennio, ma questa è un'altra storia.
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