L'avevo lasciato nel 1988, ridimensionato ed a corto di idee, lo riprendo ora nel 1993, reduce da cinque anni di lungo e salutare silenzio discografico. Archiviati gli anni '80, Alaistair Stewart comprende che inseguire il trend del momento altro non è che un esercizio dannoso e sminuente; personaggio schivo e discreto, che mai avrebbe l'ardire di dire qualcosa del genere di sè stesso, Al Stewart è semplicemente hors catègorie, un grandissimo, assolutamente al di sopra di qualsiasi moda passeggera, e tornare finalmente ad essere sè stesso era di gran lunga la cosa migliore che potesse fare. "Famous Last Words" è l'album che dà il via alla seconda vita del musicista e cantautore scozzese, e lo fa con una caratteristica peculiare: la semplicità. FLW è un album sincero, ispirato, che ritorna finalmente a proporre un lineare e pulito folk rock di alta classe con varie sfumature; manca un po' la visione d'insieme del periodo 1976-1980 o di "Bedsitter Images" piuttosto che "Past Present And Future" ma non l'eleganza, la classe, quelle straordinarie doti empatiche e comunicative che mi hanno fatto innamorare della sua musica di Al Stewart.
L'album inizia con "Feel Like", ed è un qualcosa di quasi commovente, che mi ricorda di quanto a volte basti veramente poco per dare vita ad una grande canzone: un breve giro di accordi di chitarra acustica, un organetto ed una melodia che vola alta, leggera, senza gli impicci e le pastoie di saxofoni e sintetizzatori; un testo che parla di libertà, del sentirsi felici, in pace con sè stessi, "You know I feel like a catamaran in summer, the beat of a reggae drummer, the flag of a brigantine". Non poteva esserci modo migliore di iniziare un album vario e dinamico, che spazia da una divertente filastrocca infantile come "Hipposong" alle suggestioni esoteriche di una spiazzante e fascinosa "Necromancer" con le sue atmosfere gotiche e orientaleggianti, molto teatrale, qualcosa che ci si aspetterebbe di trovare in "The Stars We Are" di Marc Almond piuttosto che in questo album. Quello che invece non può assolutamente mancare è un richiamo alla storia, che come al solito fornisce l'ispirazione per due pezzi forti di "Famous Last Words", la poesia di "Charlotte Corday", soffusa e sognante piano-ballad con accompagnamento di fisarmonica e soprattutto "Trains", otto minuti di ballata folk acustica, lieve, dolce e nostalgica, un affresco a colori leggeri nobilitata da un testo tra i migliori, più profondi ed ispirati mai scritti da Al Stewart, un flusso di coscienza e riflessione che si interseca con la grande storia e con la natura umana, inquadrata in un'ottica tanto pessimista quanto tristemente veritiera; un verso da tuffo al cuore come "Trains, what became of the innocence they had in childhood games, painted red or blue, when I was young they all had names, who'll remembers the ones who rode in them to die, all their lives are just a smudge of smoke against the sky" è qualcosa che solo un'anima dotata di grande, autentica, genuina e sincera sensibilità può scrivere, ed uno dei casi in cui la musica si eleva, diventa qualcosa più che semplice intrattenimento.
In "Famous Last Words" trovano spazio anche un po' di rockabilly solare e spensierato, l'adorabile "Genie On A Tabletop", il folk rock incisivo di "Angel Of Mercy", accompagnata da un fiddle di gusto tipicamente irish, tagliente dedica per un falso amico oppure, come mi piace pensare, azzeccatissima metafora per descrivere l'industria discografica ed un paio di pregevoli ballate soft rock come "Don't Forget Me" e "Night Rolls In"; c'è anche una scintilla di flamenco, "Trespasser", ed un affresco romantico, contemplativo, naturalistico come "Peter On The White Sea", nella forma di un notturno pianistico accompagnato da languidi archi. Si tratta di un album molto eterogeneo, ma lontano anni luce da quel pastrocchio farraginoso che fu "Russians & Americans" di nove anni prima, qui Al Stewart tocca solo corde che gli appartengono intrinsecamente, senza trucco, senza maschere; ad un primo ascolto può apparire un po' sfilacciato, quasi dimesso, ma nel tempo cresce tantissimo, fa apprezzare tutte le doti di questo grande poeta della canzone.
A tredici anni di distanza dall'ultimo grande album, "24 Carrots", dopo un decennio vissuto in sordina, FLW è l'album della rinascita, che segnerà l'inizio di un percorso cantautorale maturo e di grandissima qualità, destinato ad evolversi in pregevoli ed affascinanti concept albums negli anni a venire.
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