Mai giudicare un libro dalla sua copertina, diceva qualcuno, ma nel caso di "Last Days Of The Century", undicesimo album di Al Stewart datato 1988, la veste grafica è altamente rivelatrice sul contenuto e sul valore dell'opera: avete presente le covers di "Year Of The Cat" e "Time Passages"? Due piccole opere d'arte per due dischi meravigliosi, a LDOTC invece tocca un disegnino pseudo-futuristico dai colori sgargianti, piatto, bruttino e decisamente poco originale, aggettivi che possono tranquillamente essere usati per descrivere il disco in questione. Se non altro, rispetto all'ugualmente fallimentare "Russians & Americans" di quattro anni prima qui si nota una maggior coesione stilistica, purtroppo a favore di sonorità imbottite di elettronica che nel migliore dei casi poco hanno a che vedere con lo stile di Al Stewart, dando origine ad un disco farraginoso ed inefficace, classica opera da "vorrei ma non posso".
Il colmo di questo album è che quando Al Stewart si ricorda di essere il meraviglioso artista che è non c'è nè per nessuno: "Fields Of France", una bellissima ed evocativa linea di piano, il suono fiabesco e malinconico di un flauto ed un testo che fa volare con la fantasia, indietro fino al mito dei grandi assi dell'aviazione pionieristica che si sfidavano in duelli aerei nella Grande Guerra, ormai un lontano e sbiadito ricordo. Questo è Al Stewart, un artista semplice, elegante, comunicativo, che sa regalare sogni ed emozioni con la sua voce gentile e suadente ed il suo innato gusto per la melodia; purtroppo però, di questo Al Stewart, fatta eccezione per questo episodio ci sono ben poche tracce in "Last Days Of The Century". L'incipit, segnato da una bella titletrack sembra promettere grandi cose, un ritorno ai fasti rock di "24 Carrots" con un tocco di new wave in più: bel ritmo incalzante e coinvolgente ed un refrain anthemico da grandi palcoscenici ben sostenuto da cori femminili, ma putroppo è quasi un fuoco di paglia. Per comprendere il "male oscuro" di questo album l'esempio più significativo è "Red Toupèe": le solite tastierine squillanti presenti più o meno in un centinaio di hit radiofoniche degli anni '80 appiattiscono quello che sarebbe potuto essere un divertente e ben riuscito episodio folk-pop, anche se il peggio viene con il noioso e banale rockabilly artefatto di "License To Steal", e il qualunquismo ottantiano di "Bad Reputation" e con i soliti bassi e tastiere ed il solito, pleonastico fraseggio di chitarra; non brilla per originalità e freschezza neanche la conclusiva "Antarctica", seppur dotata di una linea melodica abbastanza accattivante, che sfuma in uno strumentale dal titolo assai accattivante ed evocativo, "Ghostly Horses On The Plain", ma un arpeggio accompagnato da effetti sonori non basta certamente a creare chissà quale atmosfera, chiudendo così l'album con le stesse impressioni di incompiutezza ed approssimazione che lo accomagnano per tutta la sua durata.
Tuttavia, "Last Days Of The Century" è impreziosito da alcuni episodi di buona fattura che lo salvano dal fallimento, facendogli raggiungere la soglia di una sofferta ma piena sufficienza: "Josephine Baker", folk song elegante e convincente, libera dagli appesantimenti elettronici che gravano sul resto dell'ailbum e il raffinato swing fumoso e riverberato di "Real And Unreal"; anche "King Of Portugal" e "Where Are They Now" si possono considerare come buoni episodi dalle atmosfere accattivanti che provano a rileggere in chiave moderna (per quei tempi) lo stile classico di Al Stewart. Rispetto al raffazzonato "Russians & Americans" questo Al Stewart annata 1988 propone un album strutturalmente migliore e con molti momenti piacevoli, ma decisamente troppo ruffiano e perso a rincorrere il trend stilistico del momento, con "Last Days Of The Century" si chiude una decade poco prolifica e da dimenticare per il cantautore di Glasgow, che gli anni '90 restituiranno alla sue dimensione naturale, ridimensionato ma reindirizzato sulla giusta via, pronto per una lenta ma costante rinascita.
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