Album di transizione: una definizione usata molto spesso, il più delle volte per indicare delle uscite mediocri di un determinato artista che spesso ne anticipano il passaggio dai tempi d'oro alla decadenza, ma la transizione significa per prima cosa cambiamento, sperimentazione, innovazione, l'album di transizione propriamente detto è un prodotto non ancora totalmente riuscito e definito ma comunque importante e propositivo, "Orange" di Al Stewart ne è un esempio perfetto. Due anni dopo il meraviglioso "Zero She Flies", che con il suo folk tradizionale rappresentava dal punto di vista strettamente tecnico e musicale un passo indietro, il cantautore di Glasgow ripropone qualcosa di più complesso ed arrangiato, elaborando finalmente un prototipo molto vicino a quello che sarà lo stile definitivo dei suoi anni migliori.
Tra i numerosi musicisti di alto spessore coinvolti nella realizzazione di "Orange" spiccano in particolar modo il rinomato sessionman Tim Renwick alla chitarra e Rick Wakeman al piano, fondamentale in più di un frangente. Il difetto più evidente di questo bell'album è senza dubbio quello della personalità: a differenza dei suoi predecessori ad "Orange" manca un tratto stilistico comune, una visione d'insieme organica, le canzoni sono tutte belle, alcune anche meravigliose se prese singolarmente ma episodi brillanti ed introspettivi si alternano in un amalgama disunito. A prevalere è un folk-blues rock raffinato e maturo, tipico di episodi come la poetica agrodolce di "I'm Falling" e l'intensa cavalcata "Night Of The 4th Of May", che evolvono e modernizzano il discorso musicale intrapreso con "Love Chronicles". In questo l'utilizzo dell'organo come arrangiamento si rivela decisivo; soprattutto quando, unito al piano di Rick Wakeman, contribuisce alla perfetta riuscita di capolavori come "The News From Spain", canzone di respiro epico ed un vivido, tragico impatto emotivo nel suo incedere grave e cadenzato, e la più composta ballad "Songs Out Of Clay", melodia antica e crepuscolare che riporta invece alle atmosfere di "Zero She Flies".
Con queste premesse "Orange" sarebbe la logica evoluzione di ZSF, che lo strumentale "Once An Orange, Always An Orange" richiama in maniera ancora più esplicita, ma gli episodi più vivaci, seppur gradevoli e ben proposti alterano un po' questa alchimia. La divertente "Amsterdam", omaggio alla cultura libertaria della città olandese con un Wakeman in grande evidenza al piano è un ottimo divertissement, mentre suscita qualche perplessità in più l'ironica "You Don't Even Know Me", buon pezzo che ha il piccolo difetto di suonare molto Dylan e poco Stewart; a riprova di questa influenza è presenta anche una non memorabile cover del più celebre collega americano, "I Don't Believe You (She Acts Like We Never Met)", a cui la voce di Al Stewart conferisce un tocco più elegante ma meno fascino, accentuato anche dall'assenza dell'armonica dell'originale, un inedito sarebbe stato decisamente più adatto al contesto.
Il giudizio finale di tre stelle è forse un po' stretto per un album che con canzoni come "The News From Spain" e "Songs Out Of Clay" tocca vette molto alte ma, soppesando pregi e difetti, comparandolo attentamente al resto della produzione di Al Stewart è la valutazione a mio giudizio più corretta; nel percorso artistico del Nostro ricopre un ruolo del tutto analogo a quello di "Honky Chateau" per Elton John, altre uscita discografica datata 1972, un album importante ma non fondamentale, che lascia appena intravedere il definitivo ed ormai imminente salto di qualità, destinato a concretizzarsi a poco più di un anno di distanza con "Past, Present And Future".
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