1967-1976: è passato quasi un decennio dall'esordio discografico di Al Stewart, che finalmente vede ripagata la sua costante e meticolosa ricerca con un grande successo commerciale, che coincide con uno dei suoi massimi vertici artistici. Un album che rappresenta una perfetta sintesi di quanto espresso dal cantautore nelle uscite discografiche precedenti, unendo in particolar modo le caratteristiche migliori dei due precedenti album, "Past, Present And Future" e "Modern Times". "Year Of The Cat" è un album perfetto, praticamente privo di qualsiasi difetto formale; un prodotto raffinato, colto e accattivante fin dalla veste grafica con cui viene presentato, in cui un pop cantautorale e di alta classe, con venature a volte quasi crooneristiche si amalgama al folk con varie sfumature più o meno rock già ampiamente consolidato negli anni precedenti, è questa la novità stilistica più evidente di "Year Of The Cat", ed è solo l'inizio di un graduale ammodernamento nel suond di Al Stewart, destinato a svilupparsi ulteriormente nelle due uscite discografiche immediatamente successive.
La freschezza compositiva, l'entusiasmo, l'ispirazione e lo slancio melodico di "Year Of The Cat" si intuiscono immediatamente anche negli episodi meno ambiziosi del disco, "Sand In Your Shoes" e "If It Doesn't Come Naturally Leave It", squisiti e vivaci country-rock di stampo americaneggiante arricchiti da testi schiettamente semplici e filosofici, che rappresentano una netta discontinuità rispetto alle atmosfere sofferte e riflessive che permeavano il precedente album "Modern Times", e dopo i fasti di "Past, Present And Future" viene ripresa la componente storica, rappresentata dall'ariosa e sognante ballad dal sapore beatlesiano "Lord Greenville", caratterizzata da una meravigliosa alchimia tra l'arrangiamento orchestrale di Alan Parsons e i fraseggi della chitarra del fido Tim Renwick e il tocco più leggero e felpato della melodia quasi eterea di "Flying Sorcery", due canzoni dedicate rispettivamente all'esploratore cinquecentesco Richard Greenville e all'aviatrice Amy Johnson, omaggi a pionieri del mare e del cielo abbastanza ricorrenti nel songwriting di Al Stewart, oltre alla tensione emotiva del drammatico folk rock con venature flamenco di "On The Border", che suona come un tributo a tutti i movimenti di liberazione popolare, a coloro che hanno scelto di combattere regimi e soprusi, di lottare per i propri diritti, citando i ribelli che posero fine al regime di apartheid in Rhodesia e i separatisti baschi.
"Year Of The Cat" comunque non dimentica affatto la componente più melanconica che fu propria di "Modern Times", proponendola però in una veste musicale rinnovata; l'uso di un range stilistico e di una strumentazione più variegata, comprendente sintetizzatori, archi e fiati si rivela determinante per la perfetta riuscita di agrodolci gemme melodiche cantautorali come "Midas Shadow", così leggera e sfuggente nel suo sottile fascino ipnotico, una "Broadway Hotel", che incarna un sottile mal di vivere incorniciato da un dolente violino e "One Stage Before", figlia di alcune folk ballads di "Orange" come "I'm Falling" e "Songs Out Of Clay", appena ristilizzate nell'arrangiamento. Ci sarebbe poi quell'inconfondibile giro di piano che introduce una melodia cinematografica e affascinante, a metà tra alba e tramonto, un viaggio musicale che in poco più di sei minuti trasporta l'ascoltatore in un sogno ad occhi aperti; che altro dire di "Year Of The Cat"? Un irreplicabile capolavoro di arrangiamento? Una tra le più belle pop songs mai scritte? In questi casi c'è poco da esprimere a parole e molto da ascoltare, meglio se con spirito sognatore.
Dopo "Bedsitter Images", dopo "Zero She Flies" e "Past, Present And Future", "Year Of The Cat" è l'ennesima dimostrazione dello spessore artistico di questo artista unico nel suo genere: più profondo di Donovan, più accattivante e versatile di Bob Dylan, più longevo e lungimirante di Jackson Browne, dotato di una sensibilità e di un gusto melodico sopraffino che Bruce Springsteen può solo sognare, sempre colto ma mai intellettualoide per il semplice gusto di esserlo: Al Stewart è tutto questo, e "Year Of The Cat", con la sua grazia ed eleganza tipicamente felina è un disco che lo rappresenta perfettamente; guai a compiere il grossolano errore di identificare l'artista con questa singola opera, ma YOTC è un passaggio obbligato, fondamentale non solo per i cultori di questo artista, ma per tutti gli estimatori di un pop cantautorale di alta scuola.
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