La classe di un artista si intuisce da molti dettagli, e tra questi c'è senza dubbio quello di sapersi reinventare con stile, mantenendo alti livelli qualitativi ed una certa, indispensabile coerenza: in alcuni ambiti musicali cambiamento e sperimentazione sono visti come il fumo megli occhi, il clichè elevato a stato dell'arte; anche in ambito cantautorale, basti pensare a come venne accolta da alcuni la cosiddetta svolta elettrica di Bob Dylan, o allo sconcerto provocato da Leonard Cohen con il suo "Death Of A Ladie's Man". Dal canto suo, Al Stewart è sempre stato un artista capace di reinventarsi: i suoi primi tre album presentano notevoli differenze stilistiche tra di loro, testimoniando un artista ancora in cerca della propria dimensione ideale, ma così talentuoso e capace da saper esprimersi su alti livelli in tutti i patterns sperimentati. Dopo la magnificenza orchestrale di "Bedsitter Images" e il folk-blues cantautorale ed introspettivo di "Love Chronicles" tocca a "Zero She Flies": è il 1970, praticamente l'alba dell'hard rock, ma ad Al Stewart questo non importa, fa di testa sua e torna indietro nel tempo, producendo un album di puro folk quasi interamente acustico.
Se "Love Chronicles" era un album di ambientazione esclusivamente urbana, "Zero She Flies", con la sola eccezione di "Electric Los Angeles Sunset", riporta l'ascoltatore da atmosfere agresti. Musicalmente più scarno ed asciutto del suo predecessore, non ne eredita tuttavia il mood introverso e pessimista; è certamente un album riflessivo ma più dinamico del secondo capitolo, rispetto a cui si rivela più riuscito, e sicuramente più efficace data l'assenza di mezzi passi falsi come "Love Chronicles" di cui ho già trattato. "Zero She Flies" ha dalla sua il fascino della semplicità, una raffinatezza naturale ed un particolare tratto distintivo: nei suoi quaranta minuti scarsi di durata concede ampio spazio a strumentali ("Burbling", "Room Of Roots") e brevi semi-strumentali (“A Small Fruit Song", "Black Hill", "Anna") acustici che accentuano ulteriormente l'atmosfera meditativa di cui è intriso l'album, oltre a testimoniare nel modo più immediato e palese la grandissima perizia di Al Stewart come musicista folk.
"Zero She Flies" offre grandi exploit in tutte le sue canzoni "propriamente dette": la splendida melodia dal piglio vagamente dylaniano di "Gethsemane, Again", riflessioni ed immagini a sfondo religioso che meriterebbero una recensione a parte, l'incedere felpato e fumoso di "My Enemies Have Sweet Voices", poesia di Pete Morgan trasformata in una classica folk song, magistralmente accompagnata da basso ed armonica. La "svolta elettrica" di "Love Chronicles" non viene dimenticata, continua con la raffinata titletrack "Zero She Flies" che rielabora le sonorità dell'album precedente in una dimensione più visionaria, dando vita ad un'affascinante poesia carica di imagini e metafore ed "Electric Los Angeles Sunset", che si distacca dal resto dell'album riportando l'ascoltatore alla caotica metropoli come "In Brooklyn", ma ponendo l'accento sulla violenza, l'inquinamento, la decadente vita notturna: un'altra perfetta istantanea musicale che costituisce un grandissimo surplus, aggiungendo quel tocco di incisiva vitalità che contribuisce a rendere più vario e anche più vivo l'album, pur integrandosi alla perfezione. "Zero She Flies" contiene anche la prima canzone a tema storico per Al Stewart, la prima di una lunghissima serie, "Manuscript", una ballata malinconica accompagnata da un organo e orchestrazioni, che rievoca come una vecchia e sbiadita foto in bianco e nero gli eventi che portarono allo scoppio della I Guerra Mondiale, da una prospettiva lontana e sfocata, un ricordo d'infanzia.
Come i due album precedenti, anche "Zero She Flies" si può considerare come un'opera di passaggio e di sperimentazione, che aggiunge un'altra mattonella alla costruzione di un sound preciso, personale, riconoscibile e definito per Al Stewart ma, proprio come "Bedsitter Images", rimane comunque un disco stupendo; testi di altissimo valore poetico e letterario e melodie semplici ed ispirate; l'eclettismo, l'energia, il sound più al passo coi tempi che Stewart saprà sviluppare negli anni successivi poggia su queste fondamenta tradizionali e solidissime, ed anche questo rende "Zero She Flies" un passaggio obbligato e fondamentale per tutti coloro che desiderano avvicinarsi alla musica di questo grande artista.
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