Avete mai ragionato su quanto alcuni argomenti siano per la gente di difficile trattazione e divulgazione, come ci si imbarazzi di fronte a certe situazioni magari quotidiane ma scomode?

E come certi argomenti non possano rientrare nella categoria “chiacchera da bar”, o semplicemente argomento di conversazione normale?

Che si applichi alla vita reale o a quella virtuale, che lo si faccia attraverso qualsiasi mezzo, (da quello della comunicazione verbale a quello artistico in genere, letterario, musicale, cinematografico, teatrale), in assoluto ce n’è uno che è il più scomodo di tutti, il cui solo pensarvi a volte puo’ creare ansia e disagio, sgomento e dolore.

Esattamente miei cari, mi riferisco proprio alla Morte, a quella che paradossalmente rappresenta l’unica certezza che l’uomo sappia davvero di avere fino in fondo. Un mio amico diceva che siamo immemori dell’inizio ed inconsapevoli della fine ed aveva ragione da vendere. Ecco, ora molti di voi si staranno toccando le parti basse o avranno gia’ cambiato pagina, senza poter riflettere su quanto sia stato quindi azzardato, direi quasi “politicamente scorretto” pensare, progettare e costruire un’intera serie televisiva, divisa in ben 5 stagioni da 12 episodi circa l’una, che avesse come leit motiv ultimo e assoluto la nera mietitrice e le sue pesanti conseguenze sulla vita di chi resta come in quella di chi ovviamente, parte.

Ed è quindi attorno a questo tabù tanto pesante quanto naturale che questa serie prende il via nel 2001 grazie alla HBO (un famoso network statunitense via cavo) il cui titolo rimanda alla usuale profondita’ di interramento di una bara in America.

Ovviamente la serie (durata dal 2001 al 2005) in Italia è arrivata con pesante ritardo 3 anni dopo ed in seconda se non terza serata, data la difficolta’ dell’argomento: chi ha voglia in fondo, dopo una giornata di vero mazzo quadro, di piazzarsi sul divano per guardare un telefilm noir che inizia sempre con un decesso e la cui trama ruota all’apparenza tutta attorno al dolore della perdita e all’organizzazione del funerale del defunto? Ed inoltre pensare che l’intera serie possa anche avere successo?

Eppure la sua sfida l’autore Alan Ball l’ha stravinta. Questo grazie alla formula totalmente inusuale di presentare come fulcro e perno gli eventi traumatici legati alla perdita, all’apparenza tema principale del film, bensì pretesto per parlare della vita in tutte le sue sfumature e differenti pieghe, lasciando che tutti i temi essenziali dell’esistenza ruotassero attorno ad essa (la perdita) passando così  in primo piano, in contrapposizione netta.

Per fare questo, Ball non tralascia alcun aspetto dell’esistenza umana, ed ogni virtù, ogni difetto, ogni desiderio, ogni meschinita’ ed ogni grandezza legate ai temi della famiglia, dell’amore, della sessualita’, delle relazioni interpersonali, del lavoro, del denaro e dell’individuo in senso lato vengono tutti trattati con profonda umanita’ e molto humor (nero), delicatezza e spietatezza. E’ il racconto di un narratore che consegna al suo pubblico un quadro complesso e variegato con la stessa delicatezza con la quale un nonno potrebbe tramandare la sua esperienza ai nipoti. Il risultato è quindi una serie di fiction verosimile e reale come poche altre cose viste e lette.

La trama, brevemente, narra di un’azienda di pompe funebri a conduzione familiare, il cui titolare muore nei primi minuti del I° episodio tramandando il lavoro al figlio minore, omosessuale, e a quello maggiore, allontanatosi molti anni prima dal nucleo familiare per fare una vita diversa, e tratta di tutte le persone a loro vicine (la madre, la sorella adolescente, gli amici, i collaboratori e i vari partners che si avvicenderanno nell’arco delle loro vite) e dei loro sentimenti più naturali ed umani.

Le scelte stilistiche e i passaggi grotteschi e surreali che vanno dipanandosi nelle singole puntate cosi’ come l’intrecciarsi dei sentimenti, lo humor nero che permea l’intera serie, l’insieme delle emozioni forti che si manifestano facendoci ridere alle lacrime o piangere senza vergogna, ne hanno fatto presto una delle più importanti serie cult in America ed Inghilterra riscuotendo un discreto successo anche da noi.

Credo che la formula vincente di "Six Feet Under" (impeccabile anche dal punto di vista della regia e della fotografia) sia il fatto di avere avuto il coraggio dalla prima fino all’ultima puntata (il finale, per nulla scontato, è di una bellezza da togliere il fiato) di mostrare esattamente la vita umana per quello che realmente è, con le sue debolezze, le sue fragilita’, con la sua impietosa e devastante crudezza cosi’ come con l’assoluta, emozionante bellezza. Il merito è che ognuno trova un pezzo di sé, un pezzo della propria debole traccia, o di quella dei propri affetti venuti a mancare. Come se non bastasse la colonna sonora è da urlo. E a noi questo piace.

Posso dire senza timore di non amare nessun altro prodotto “tele-cinematografico” con la stessa forza e la stessa passione.

Per me non c’è paragone alcuno.

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