La notte. La pioggia.
Ci sono questi due pazzi in un manicomio.
Batman vuole sapere. Perché. Perché si scontrano, che motivo c'è, perché? Il Joker non lo sa, ma il pistrello ha capito che, in un modo nell'altro, il loro è un circolo vizioso, dal quale non potranno uscire. Mai.
Questo capolavoro a orologeria si basa proprio su questa premessa. Due malati mentali che da anni vanno avanti a picchiarsi incessamente, senza un valido motivo, e no, il fatto che il Joker sia assassino e ladro non conta: qui potrebbe entrare in scena la polizia.
Bruce Wayne è un uomo tormentato, segnato dalla morte dei genitori e da tanti, troppi lutti (e altri ne riceverà in futuro), può rientrare nella categoria degli scarti della società, dei buffoni, di quelli che di posti non ne trovano. Va in giro vestito da ridicolo pipistrello e spaventa i ladri semplicemente perché le ombre della notte l'aiutano, se agisse di giorno si coprirebbe di ridicolo.
Joker, il cui nome non ci è noto, è stato costretto a convivere con la miseria, la povertà, e sappiamo solo questo, ma probabilmente ha sempre covato istinti malati e perversi. Istinti che si sono finalmente palesati quando (dopo la morte della moglie, l'ultimo colpo di frusta a una mente già cedevole), caduto in una pozza d'acido viene trasfigurato e capisce, capisce che la vita è buffa, senza senso, né equa né caritatevole. E ride, oh, sì, da allora affronterà sempre tutto ridendo come il matto che è.
Se Batman però è ancora ancorato a questa grama esistenza, Joker no e non ha scopi, è solo una scheggia impazzita. Ma vuole mostrare una cosa.
La dimostrerà sparando e paralizzando la figlia del commissario Gordon, la dimostrerà rapendo questi stesso, sistemandolo in un luna park abbandonato, spogliandolo e dopo aver sciorinato un discorso folle e al contempo lucido e geniale sull'uomo medio, tormentandolo con le foto raffiguranti sevizie al corpo spogliato e sanguinante della bambina che il vecchio poliziotto ha creato e che ama.
Joker vuole mostrare a tutti che basta un singolo evento, una giornata storta per trasformare il più savio degli uomini in una caricatura. Sia chiaro, non ci riuscirà.
"Forse sei sempre stato solo tu", urla Batman al penoso e affascinante freak, ed è vero: non tutti siamo destinati a lasciarci andare solo perché la vità è futile. Ma che senso ha? Non ha senso niente. Niente.
Batman ha affrontato per l'ennesima volta Joker, l'ha sconfitto, ha salvato Gordon dalle catene, ma poi si rende conto che è proprio tutto così, tutto una barzelletta. Barzelletta che il villain gli racconta, gesticolando e lacrimando. Questo dopo che il pipistrello ha detto che sì, lo si può ancora aiutare, salvare dall'abisso. L'altro non vuole. E finito di recitarla ride, ride, ride. Presto pure Batman si unirà alla risate e, abbracciati, stabiliranno un unione di stima e rispetto che nonostante i futuri scontri mai si incrinerà. Sono due poveri derelitti, rifiuti, scarti e spazzatura; e questo li accomuna, li completa.
Alan Moore ha spesso descritto e bollato questa sua storia come fredda e senz'anima; io trovo sia il punto più alto mai raggiunto dal fumetto mainstream americano, perché è tutta introspezione, tutta strada senza uscita, un vero e proprio trattato di psicologia.
La prosa è rapida, decisa, i meccanismi si incastrano tra di loro in maniera pefetta e priva di sbavature. I disegni di Bolland ci offrono il miglior Joker di sempre, e i colori danno al tutto un aria da "girandola di follia".
Finalmente ci vengono mostrate le sue origini, finalmente viene dato un colpo di svolta al rapporto del duo, svolta che poi è stata davvero seminale, e i frutti vengono raccolti ancora oggi.
Capolavoro.
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