Come poteva mancare all'appuntamento di fine millennio la musica di Alan Parsons, con il titolo appropriato? Altro concept con argomenti spaziotemporali. Non vuole presentarsi alle porte del 2000 senza niente. Sembra un auto-tributo che riporta all'avanguardistica registrazione di Time del 1973 per i Floyd. Suona come un capolinea, non sarà così. Anche se dopo deluderà. Packaging grafico confusionario carichissimo.

La triade produttiva dei '90 con questo The Time Machine risulta diversificata con delle identità marcate. Pur mantenendo il copyright estetico inconfondibile. Il lato prettamente commerciale è stato accantonato. Non sono i tempi di Eye in the Sky. Ha fatto quello che doveva fare, sicuramente coerente. Il lavoro non sconvolge per particolari innovazioni, c'è un po' di freschezza ma scimmiotta leggermente il sound del periodo. Apre imperiosa "The time Machine", strumentale troppo lunga che apre con autorità il tutto. Riff sempliciotto ben battuto con le quattro note semi "Shine on" girate diversamente che padroneggiano. Non poteva mancare... sfumato.. un discorsetto sul tema spaziotempo del professor Frank Close. 2 minuti accademici. Ci stavano e al Parsons se gli gira lo fa. Discutiamone sull'utilità.

Adesso però arriva, sempre sfumando, il momento di ristrapparsi i capelli per tutte quelle teens degli '80 che gridavano e svenivano all'ascolto di "Through the Barricades". "Out of the Blue" è interpretata dal buon Tony Hadley, soffice e vellutato come il brano. La melodia di base resta quella di apertura. Astuta soluzione alla "The Wall". "Call up" tratta la tematica: richiamamo artisti e scienziati del passato, il mondo li reclama. Il testo è più interessante della musicalità che non è granchè... richiama altri tempi e non entusiasma. Ed ecco la tipica soft ballad "The ignorance is bliss" cantata dal ripreso e bravo Colin Blunstone. Siamo ad una "Siren Song" rifatta. Novità sostanziali zero, la voce impreziosisce molto il pezzo. La strumentale "Rubber Universe" presenta sempre il pacchettino ben confezionato. Bravura collaudatissima. L'eroica "Call of the Wild" regala una bella atmosfera alla Braveheart. Canta Maire Brennan dei Clannad. Connubio riuscitissimo. Nel bel mezzo un fantastico cambio con la chitarra di Bairnson e la sua magia. Stuart Elliott crea un ambiente percussivo perfetto. L'icona musicale degli ex Project riesce a rinnovarsi proprio qui. Sicuramente è questo l'album su cui il batterista ha più spazio come composizioni. "No future in the Past" e "Press rewind" sono sorelle in quanto alla connotazione british-rock dalle tonalità freddine e ovvie. Ma aguzzando i timpani si scoprono delle piccole chicche di Bairnson, poco appariscente ma fondamentale.

Se avete una brutta giornata e fuori piove non ascoltate la bellissima e melanconica "The very last time". Può scappare la lacrima con facilità. Voce femminile di Beverley Craven. Pianoforte e archi per un brano "da camera" come atmosfera. La vera novità che sembrava presagire ad un nuovissimo futuro Project è la strumentale e fantascientifica "For ago and long Away". Particolarmente strana ma interessante. Non c'è un melodia precisa, è per cultori dell'ambient non scontato. Elettronica sapiente. Psichedelica. A questo punto poteva finire tutto qui però ti ripiombano due reprise di "The time machine". Il primo inutile ma la sigla finale ci vuole. Il secondo con la traccia audio carpita dal 2° film di Austin Powers, dove appunto l'Alan Parsone Project viene nominato in un dialogo con Dr Evil, (Mike Myers). Insomma... uno spot.

Punteggio ideale 3,5 stelle. Metto 4 per la carriera. Album "belloccio" che non sposta di una virgola le solite caratteristiche peculiari di Alan Parsons, per certi versi minestra scaldata anche troppe volte. Ma riesce sempre a metterci qualche nuovo ingrediente per fartela digerire. Per affezionati incalliti.

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