Scrivere che "Spiritual Unity" è stata la prima incisione che Albert Ayler effettuò con musicisti che non si vergognavano di suonare con lui può essere visto come uno sfoggio di cinismo, ma non gratuito: una forte intesa musicale basata su un'attitudine comune col contrabbassista Gary Peacock ed il batterista Sunny Murray rappresentano infatti quello che era mancato fino a quel momento perché la ricerca di Ayler decollasse e il suo sax tenore suonasse alieno, ma non fuori contesto.

Nelle quattro tracce dell'album ("Ghosts", "The Wizard" e "Spirits") il fruscio dei cimbali e il fluire dei colpi di contrabbasso costituiscono una pulsazione d'intensità variabile, ma sempre in simbiosi col sax; la libertà da melodia e armonia lascia infinite possibilità di sviluppo ai brani (fanno fede le due variazioni di "Ghosts"); la licenza di sfruttare tutte le possibilità timbriche offerte dagli strumenti ne ampia il range espressivo; l'interazione serrata tra i musicisti su un piano condiviso e non gerarchico sono, infine, funzionali a catturare il "qui e ora" e a creare la "spiritual unity" cui fa riferimento il titolo.

L'ascoltatore deve prestare un ascolto estremamente attivo, scegliere di sudare coi musicisti, per avere qualche chance di venire coinvolto in questa avventura. Al singolo capire l'interesse a intraprendere o meno questa sfida, nonché il gusto di scoprirne il risultato: io abbraccio la tesi che capire questo disco, e prendere gusto allo sporcarsi le orecchie col jazz radicale degli anni '60, può essere formativo per chi è interessato a tracciare un albero genealogico intricato che tocca il jazz e le cui spore bastarde hanno sparso frutti eretici anche in galassie musicali solo apparentemente distanti.

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