Esordio di Fellini alla regia, affiancato da Lattuada, Luci del varietà è un film del 1951 con Peppino De Filippo, Giulietta Masina, Carla Del Poggio.

Luci del varietà è la storia di una scalcinata compagnia di varietà capitanata da Checco Dalmonte (De Filippo). Con lui c'è anche la sua fidanzata Melina (Giulietta Masina).

Siamo nell'immediato dopo-guerra, l'Italia prova a ripartire ma tante sono ancora le difficoltà, tanta è la fame. Non fa eccezione questa mediocre compagnia teatrale che si esibisce in modesti teatri di avanspettacolo e rivista.

L'inizio è folgorante. Assistiamo allo spettacolo della compagnia costituito da un comico poco incisivo, Checco, che canta le sue canzoncine (la paperella) che sanno già di vecchio, non ci crede neanche lui.

Ballerine sciatte e grassottelle, un fachiro claudicante che sembra quasi un senza-tetto e così via. Tutto viene mostrato senza filtri, sbattuto in faccia, memorabili i primi piani degli "artisti" che mentre si esibiscono sfoggiano un sorriso di plastica ma non ne possono più e percepiscono nettamente che il pubblico non apprezza più di tanto.

Ma tra il pubblico, estasiata, c'è la giovane e bella Liliana (Carla del Poggio) disposta a tutto per salire su quel palco.

Liliana seguirà la compagnia nel suo peregrinare e abborderà Checco che capitolerà immediatamente di fronte all'avvenenza e alla sfrontatezza della giovane finendo per invaghirsene...

Più che buono l'esordio del giovane Federico Fellini alla regia, la mano del maestro è già ferma, ben distesa ed ha già qualche calletto...

Sebbene i protagonisti siano sostanzialmente due, Checco e Liliana, il film si avvale di un cast straordinario, c'è anche una giovane ma già bravissima Franca Valeri nell'improbabile ruolo di un'insegnante di danza ungherese. Possiamo dunque parlare di film corale nel quale emergono molteplici dettagli tipici della cinematografia felliniana.

Il fachiro e la sua oca da viaggio, la grassoccia e triviale cantantessa, il melodico napoletano, il vecchio amministratore confuso e alcolizzato.

Incontreremo poi artisti di strada, un negro e la sua tromba, una brasiliana con una voce d'angelo e la sua chitarra.

Frammenti di sogno in un caravan-serraglio scombiccherato, stralunato.

La fame dicevamo. La fame e il cinismo, il finto pietismo, un amaro ma fedele ritratto di quel mondo e di quell'epoca, gli echi del cinema del neo-realismo italiano di De Sica e Visconti sono ancora acuti ma con Fellini si avverte un cambiamento, un'analisi più profonda, ovvero psicologica, dell'animo umano.

il film non ebbe successo e sancì la fine della collaborazione di Fellini con Lattuada.

Non è un capolavoro ma se ne consiglia la visione anche solo per capire chi siamo e da dove veniamo.

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