"Liù dorme

La bocca contratta in un sorriso sofferto

E le mani abbandonate come uccellini caduti dal nido

Liù dorme

E fuori un sole pallido sugli alberi del bosco

Di luce tenue e tiepida nell'ora del tramonto

Ed oltre gli increspati bordi d'oro delle nubi

Frammenti di pensieri ed un disgelo prematuro"

 

Liù dorme. Ben desta è invece l'ispirazione degli emiliani Albireon, giunti alla quarta prova ed alla piena maturità, che permette loro di confezionare quello che possiamo ritenere, ad oggi, il loro capolavoro.

Uscito in sordina nella seconda metà del 2008, "I Passi di Liù" sancisce da un lato un netto distacco dalla dimensione neo-folk/cantautoriale abbracciata negli album precedenti, e dall'altro celebra il felice approdo ad una nuova formula, unica se vogliamo, che fonde armoniosamente tessiture ambient e sofisticato post-rock, il tutto funzionale alle belle parole di Davide Borghi, autore di un concept denso di significati e profondamente poetico.

Liù potrebbe essere sul letto di morte, assistita dal suo amante, o da un suo amico, una voce fuori campo che ripercorre con trasporto i ricordi di un'infanzia spensierata, ma non priva di fratture ("Ma noi abbiamo danzato, a volte anche tra i rovi, lasciando che le spine ci ferissero il sorriso" recita il ritornello della bellissima "Gli Equiseti").

Oppure Liù potrebbe attraversare una fase di passaggio della sua vita, dirigersi verso nuovi orizzonti, lasciandosi, non senza traumi, qualcosa alle spalle; e la voce narrante potrebbe essere quella di un poeta, o di un angelo custode, che legge attraverso la metafora della morte i cambiamenti che intervengono nella vita di tutti noi ("Ed ora sorridi, ne sono sicuro, dimentica dell'orologio sul muro, un fremito d'ali, nel buio giardino, voli leggera, incontro al mattino" narra la conclusiva "Gennaio", nel momento più intenso dell'album).

Fra il primo Battiato (impossibile non pensare a "Le Corde di Aries") e i Current 93 di lavori come "Of Ruine or some Blazing Starre" e "Sleep has his House", i "Passi di Liù" è un viaggio onirico e sfocato su una zattera di legno in cui, sonnecchianti, siamo cullati dallo sciabordio dolce delle onde (frequenti i rimandi al mare e al fluire inesorabile delle correnti: si prenda i testi di brani come "Naufraghi" e "Deriva").

Squarci di sole fendono le nuvole nel cielo, mentre passato e presente si confondono e sfumano in un abbraccio febbrile, fra scenari bucolici senza tempo, il chiuso di una stanza ombrosa ove giace un letto, e l'universo che sta nel cuore e nella mente.

In altre parole: emozioni emozioni emozioni.

Arpeggi di chitarra appena sfiorata, una vibrante elettronica ambientale che evolve impercettibilmente, squarci di tenue rumorismo qua e là a richiamare vagamente gli esperimenti esoterici dei primi Ain Soph, mentre nell'intensa "Cendra" compare la voce fiabesca di Paola Farasconi che recita all'unisono con Borghi una filastrocca infantile (ricordando non poco i duetti fra David Tibet e Rose McDowall): un intenso e fragile flusso emozionale che pare spezzarsi in ogni momento e che in ogni momento, come per miracolo, rimane in piedi, fino agli imperdibili dodici minuti della conclusiva "Gennaio", apice emotivo dell'opera, forse la più bella canzone italiana da dieci anni a questa parte.

Procedere oltre mi è difficile, perché mai come in questi casi le parole sono impotenti nel descrivere le sfumature innumerevoli di cui è pregno questo piccolo-grande capolavoro, uno scrigno di emozioni capace di muoversi con eleganza fra nostalgia, malinconia e speranza: un equilibrio unico e perfetto in cui la Fine è in realtà un nuovo inizio, e dove a muovere il tutto è lo stato di grazia in cui si trovano i musicisti, non certo dei virtuosi, eppure magici nel riporre nella loro opera tutto quello di cui c'era bisogno e nella forma più congeniale al disegno complessivo.

L'unico appunto che mi sento di fare è la resa della voce eterea di Borghi, che si perde riverberata fra i suoni dell'album, non per colpa del pur bravo cantante, ma per un mixaggio un po' confuso che, ahimè, non permette all'ascoltatore di cogliere tutte le sfumature dei bellissimi testi. Per certi versi, un vero peccato.

Da segnalare infine l'elegante booklet che accompagna l'opera, le cui pagine sono costellate dalle illustrazioni di Lorenzo Borghi, l'ideale controparte visiva agli umori malinconici e fanciulleschi che pervadono l'album.

Nella versione in mio possesso vi è inoltre un DVD, il quale tuttavia rimane privilegio dei cento fortunati in possesso dell'edizione limitata. Tipo me.

Non sarà facile trovare questo album, ma se vi capita fra le mani, non fatevi sfuggire quella che probabilmente è la migliore uscita discografica italiana dello scorso anno, nonché un'opera unica nel suo genere, capace di toccare temi come la vita e la morte con quella delicatezza e quella maturità che rimangono appannaggio di pochi.

Davvero di pochi.

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