A pochi giorni dopo l’uscita del loro ultimo disco, “Tripsis”, sembra finalmente che qualcuno si sia accorto di questa band australiana che sembra davvero vicino ad entrare nell’Olimpo dei grandi nomi dell’heavy metal.

Gli Alchemist di oggi sono però una formazione estremamente lontana da quella che si poteva ascoltare svariati anni fa, quando i nostri erano ancora dediti a un death metal ricco di sfumature tecniche (non progressive, tecniche) che riportavano alla mente gruppi quali Death e i primi Atheist, piuttosto che Tool e Voivod, ai quali vengono invece paragonati oggigiorno.

L’ultimo album che i nostri hanno prodotto, che seguiva ancora i canoni del death risale al lontano 1995 e risponde al nome di “Lunasphere”.

Si nota già da subito come l’anima del gruppo si presenti decisamente selvaggia, con muri sonori massicci, che travolgono letteralmente l’ascoltatore durante tutte le tracce, presentando però alcune finezze e soluzioni strumentali di pregevole fattura.

L’apertura dell’lp viene affidata a “Soul Return”, introdotta dallo scream/growl del buon Adam Agius, che sfodera una prestazione decisamente lontana dai canoni odierni, risultando decisamente meno raffinato e sfociando molto spesso in acuti screams di chiara matrice black. La base musicale si presenta invece come una “mazzata” in faccia, nella quale grande importanza risulta avere la batteria, sparata quasi sempre in doppia cassa e che tesse ritmiche complesse e mai banali, pur non risultando eccessivamente ridondante. Il break centrale strumentale, fa già però intravedere le finezze per le quali la band diventerà famosa (quanto meno in patria), con un pregevole utilizzo di sintetizzatori e chitarre che, a differenza di tanti gruppi che fanno della velocità di esecuzione una delle armi principali per comporre musica, preferiscono sperimentare con strani effetti e linee melodiche molto lente, riflessive. Al termine dell’intramezzo strumentale si torna invece a pestare pesante, con un Agius ancora in grande spolvero e capace di vocalizzi estremamente potenti, quasi rozzi.

Con “Lunation”, si continua a mettere il piede sull’acceleratore: l’intro, quasi in sordina, ci catapulta poi in una track in-your-face, che mi ha riportato alla testa alcuni momenti, i più tecnici, dei cannibal corpse (quelli di “Hammer Smashed Face” tanto per intenderci), almeno fino a quando i nostri non ricominciano a sperimentare con melodie fuori da ogni concezione logica. Questa volta a spiccare è sicuramente il basso, specie nella seconda parte, proponendo delle melodie inconsuete, ma decisamente affascinanti. Un semplice tempo di batteria ci introduce a “Unfocused”, traccia forse più vicina agli Alchemist odierni, almeno nella parte introduttiva, nella quale il cantato è assente; al momento in cui questo fa però il suo ingresso, l’atmosfera mistica di cui la prima sezione è permeata svanisce, per lasciare posto invece alla più cieca furia, che si tramuta in linee vocali e musicali estreme.

Luminous” è invece un breve strumentale che ci fa immergere in un mondo fatto di ritmi e musiche tribali e che fa da preludio al quinto episodio dell’album: “Clot”, che ancora una volta alterna a parti strumentali quasi rilassate, altre più tirate, sottolineate dalla presenza dello scream (ed è proprio nell’impostazione dello scream che riaffiorano delle influenze provenienti dal black metal) che ripete “Clot Clot Clot”. Non tradiscono le aspettative neanche i quattro episodi finali: si parte infatti con la buonissima “Yoni Kunda”, nella quale fanno capolino elementi questa volta più propriamente progressivi, specialmente per quanto riguarda le chitarre; a seguire veniamo catapultati nel death metal sperimentale di “My Animated Truth” nel quale convivono assieme tastiere e sintetizzatori dal sapore avantgarde e ritmiche forsennate. Le chitarre contribuiscono anch’esse a dare alla canzone una forte carica, presentandosi molto potenti, ma anche raffinate e capaci di soli di gran gusto.

Il penultimo titolo, “Garden Of Eroticism” è stata la song che più mi ha colpito, con quel suo incedere tribale, venato da influenze derivanti dal techno thrash con qualche accenno al cyber di derivazione voivodiana, specialmente per ciò che concerne le chitarre e il basso (mi ha riportato alla mente quanto proposto da Newsted in “Nothingface”). La voce questa volta fa la sua comparsa solo per pochi momenti verso il finale, nella quale si ritrova ancora l’alternanza tra scream e growl. La conclusiva “Closed Chapter”, ci riporta su territori più propriamente thrash/death, chiudendo il lavoro in maniera più che dignitosa.

Il disco si presenta, dal punto di vista prettamente compositivo, come un platter quasi privo di sbavature (eccezion fatta per qualche sperimentazione di troppo e qualche dissonanza tra melodie e basi ritmiche), ma la nota dolente è rappresentata dalla produzione davvero di bassa qualità ed inaccettabile anche per l’epoca, che non rende giustizia al lavoro svolto dalla band, presentandosi sporca ed imprecisa e rendendo poco chiari i suoni dei singoli strumenti, con volumi regolati alle volte in maniera totalmente sballata (specialmente per quanto riguarda la batteria in vari episodi).

Comunque, chiudendo un occhio su questa mancanza, attribuibile per altro ad una mancanza di fondi da parte della band, ci troviamo davanti ad un disco di buona fattura, che ci dona un gruppo affiatato e in grado, già all’ora, di produrre lavori d’alta qualità.

 

Line-up:

Adam Agius – chitarre e voce

John Bray – basso

Rodney Holder – batteria

Roy Trokington – chitarre

Tracklist

1) Soul Return

2) Lunation

3) Unfocused

4) Lumious

5) Clot

6) Yoni Kunda

7) My Animated Truth

8) Garden Of Eroticism

9) Closed Chapter

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