Ultimamente a Bologna, dove abito io, sento sempre più utilizzare dai miei amici e compagni di classe la parola "brenso". Un termine che, nel gergo bolognese dei ragazzi, significa "un qualcosa di breve ma intenso".
Se dovessi pertanto scegliere un qualcosa che incarni alla perfezione il concetto di brensosità (o di brensaggine?) sceglierei proprio questo disco degli Alchemist, "Spiritech", uscito nell'ormai lontano 1997 e che sfortunatamente è passato un pò inosservato dalla critica e dal pubblico e che tutt'ora riceve molti meno consensi di quanti in realtà ne meriti. D'altronde non è un mistero che la critica metal italiana vada avanti a passo di bradipo, tendendo sempre a focalizzare l'attenzione sui soliti 3-4 gruppi che ormai conoscono anche le vostre pareti di casa mentre all'estero girano gruppi affermatissimi e che arriveranno in Italia solo secoli dopo.
Dicevamo quindi, se dovessi scegliere un qualcosa di veramente "brenso" opeterei per questo disco, per due ragioni semplicissime:
- è breve (vabbè dura un'ora, non pochissimo, ma è pur sempre un'ora, mica due giorni interi);
- è intenso, molto intenso, perchè le atmosfere e le melodie contenute in questo disco sono di un'espressività non comune che nel bene o nel male vi lasceranno il segno.
Gli Alchemist propongono un progressive metal dalle fortissime tinte psichedelico/spaziali, condito con sprazzi elettronici e sperimentali, tant'è vero che loro stessi si definiscono una "Space Metal Band", e in effetti non si può fare a meno di viaggiare con la mente quando si mette su un loro disco, sognando pianeti lontani ancora ignoti all'uomo, o addirittura dimensioni parallele dove può accadere di tutto e di più. Insomma, viene lasciato molto spazio all'immaginazione, e il risultato è davvero stupefacente.
Stiliscamente la band australiana è molto più vicina al sound di Tool o Voivod che al prog metal di Dream Theater o Symphony X: il loro è un suono elegante, sobrio, incisivo, che non ricorre ad artifici tipici del genere, per cui se sperate di trovare assoloni di chitarra lunghi 30 minuti e passa resterete parecchio delusi.
"Spiritech", da molti considerato il capolavoro della band, contiene 9 pregevolissime tracce che non annoiano mai e che mantengono la tensione alta per tutti i suoi 61 minuti di durata.
"Chinese Whispers" è il brano d'apertura, ed è considerato da molti come uno dei picchi compositivi del gruppo; un pezzo che comincia con una linea melodica semplice ma molto efficace, su cui si erge il cantato pulito di Adam Agius che lascia spazio, a tratti, a brevi screaming distorti. Nella parte centrale della canzone viene lasciato spazio ad un magnifico stacco ambient, suggestivo, profondo ed abissale, per poi riprendere nel finale con la melodia iniziale.
Seguono le magnifiche "Road To Ubar", con una struttura abbastanza simile alla traccia d'apertura, e "Staying Conscious", brano dal pathos spaziale e apocalittico che vi farà sudare a freddo. La quarta traccia, "Beyond Genesis", è quella forse più influenzata dai Pink Floyd, con tanto di intro con canti di uccelli e suoni filtrati, per poi sfociare in un riffing davvero ispirato e molto "tooliano" alternato ad arpeggi che sanno di prog anni '70.
In "Inertia" vengono accelerati i ritmi, recuperando le radici thrash che costituivano la colonna portante dei primi due grezzi e violenti lavori della band, ovvero "Jar Of Kingdom" e "Lunasphere", dove il sound era ancora in fase di elaborazione. E che dire della conclusiva "Figments", con quell'intro orientaleggiante e misteriosa, che sfocia in un continuo saliscendi di emozioni per tutti i suoi 11 minuti di durata? Sembra davvero di cadere in uno stato di ipnosi, è come essere inebriati dalla melodia di un incantatore di serpenti, o come incantati dallo sguardo intrigante di una bellissima donna dall'aria "dark". O più semplicemente, è un viaggio, un viaggio verso le profondità dello spazio, dal quale difficilmente vorrete tornare indietro.
"Spiritech" segna quindi il picco compositivo di una nutrita discografia che vanta moltissimi dischi di ottima fattura, per una band che, dopo più di 15 anni di attività, non accusa il colpo e continua a sfornare dischi uno più bello dell'altro, come dimostra il recente "Tripsis", uscito nell'autunno di quest'anno per l'etichetta Relapse. Fatelo vostro.
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