Quando nel 1997 uscì nelle sale "Tre uomini e una gamba" tutti fummo presi un po' alla sprovvista. Dopo anni di vanzinate, vacanze di natale e viaggi nel tempo, c'eravamo tutti quanti abituati a ridacchiare e c'eravamo scordati di ridere. Credevamo che per ridere ci volessero una quintalata di oscenità assortite, volgarità furbamente confezionate, tette al vento ed attori incompetenti. Eravamo convinti che il massimo del massimo della comicità italiana fosse Massimo Boldi.

In realtà, quei loschi figuri (Boldi, De Sica, i Vanzina) ancora lavorano ed ancora fanno danni, ma "Tre uomini e una gamba", inutile negarlo, ci rese felici. Perché finalmente si pagava il biglietto sapendo che non si sarebbe maledetto cast e produzione all'uscita dalla sala, perché sapevi che avresti riso a crepapelle e non ti saresti sorbito le solite stra-scontatissime volgarità.

"Tre uomini e una gamba" segna l'esordio cinematografico di Aldo, Giovanni e Giacomo, due lombardi ed un siciliano naturalizzato Madonnina. Nel 1997 sono già famosissimi. Le loro caratterizzazioni ironiche e pungenti, sono già di culto grazie all'intelligenza televisiva della Gialappa's Band. A "Mai dire Goal" esibiscono tutto un campionario di gag e sketch degni dei migliori comici nostrani: la telenovela svizzera (Rezzonico & C. ), gli incapaci acrobati bulgari, divertenti imbonitori sardi, il masochista Tafazzi, il dee-jay Johnny Glamour. Ad onor del vero, erano già apparsi in una trasmissione di Paolo Rossi, "Su la testa!", dove avevano esibito due dei loro più riusciti numeri comici: il viaggiatore in autobus senza biglietto e la lunga scenetta dei vecchietti al parco.

Tentano il grande passo nel mondo del cinema, pur con mille dubbi e mille rischi. Perché si sa, sono pochi i cabarettisti passati con scioltezza dal teatro (o dalla televisione) al cinema. Pochissimi: Carlo Verdone, Massimo Troisi, Antonio Albanese, tempo fa Roberto Benigni. Tutti gli scettici e i criticoni saranno però smentiti: "Tre uomini e una gamba" è un bel film, e non è poco. Sotto l'apparente struttura di un semplicissimo road-movie (viaggio da Milano a Gallipoli) si intersecano una serie a tratti persino impressionante di macchiette e battute. Con una piacevolissima sorpresa: l'assenza di volgarità. Nemmeno citata, nemmeno lasciata capire. Qualche parolaccia qua e là, molta abilità nel saper raccordare le scene comiche con gli inevitabili passaggi della sceneggiatura e persino qualche momento malinconico (l'attesa all'ospedale dove Giacomo è ricoverato).

Non un capolavoro ovviamente, non un caposaldo della comicità nazionale (quelli sono paroloni che si sprecano in altre occasioni), qualche momento di stanca ed alcuni personaggi un po' superflui e mal delineati (la piccolissima partecipazione di Luciana Littizzetto, l'arrogante Carlo Croccolo, nulla di fondamentale), una sceneggiatura sbilenca ed una regia approssimativa, ma era tutto più che prevedibile. In mezzo però ci sono almeno una decina di situazioni palesemente divertenti, e tre intermezzi di tutto rispetto: il primo, esplicita parodia tarantiniana (peccato poi che i tre abbiano voluto girarne addirittura un film, "La leggenda di Al, John e Jack"); il secondo, quello celebre del biglietto dell'autobus, una sorta di presa in giro del cinema neorealista di De Sica padre e Rossellini; il terzo, quello dei vampiri, il meno riuscito, indubbiamente fa ridere, ma mostra la corda dopo pochi minuti (si sa come finirà, si capisce subito dove si vuole andare a parare).

E fra belle sequenze e spunti comici non indifferenti, una serie di citazioni che, una volta tanto non appesantiscono l'intreccio: le acrobazie in acque tipiche di Esther Williams, la partita a pallone sulla spiaggia come "Marrakech Express" di Salvatores ed il furto della gamba ai danni di un gruppo di muratori di colore travestiti con le maschere di alcuni celebri politici italiani, evidente parodia di "Point Break" della Bigelow.

Anche a livello musicale il film non è malaccio, ma c'è una scena in cui Giovanni, esasperato, tenta di inserire, durante il viaggio, una musicassetta che non gli provochi strane emozioni (è una delle sequenze più divertenti dell'intero film): prima spegne una specie di spintissimo hard rock, poi piange su "Luci a San Siro" di Roberto Vecchioni prima di gettare fuori dal finestrino dell'autovettura "Anima mia" dei Cugini di Campagna, alla fine sbraca con la lirica "Pagliacci". Una scena come tante? No, visto che su "Cineforum" (giornale specialistico di cose cinematografiche) il critico Anton Giulio Mancino rimprovera i tre attori/registi per la rinuncia evidente a qualsiasi tipo di satira sociale e politica: "… né basta per ottenere un simile scopo gettar via dal finestrino dell'automobile la musicassetta dei Cugini di Campagna con su inciso l'hit-revival "Anima Mia" (e con essa la nostalgia piccolo borghese dei sessantottini o post-sessantottini di sinistra) ed inventarsi dei leghisti di Transilvania".

Il film incassò moltissimo (40 miliardi di vecchie lire!), resta un mistero come i successivi film del trio, nonostante il sempre altissimo successo di pubblico, siano scaduti a livello di comicità e costruzione dell'intreccio. Tra le visioni pedanti e new-age di "Così è la vita" alla banalità di "Tu la conosci Claudia?", solo "Chiedimi se sono felice" tenta di riecheggiare i fasti dell'esordio. Ma non c'è niente da fare: "Tre uomini e una gamba" pur nella sua semplicità e nel suo non essere eccezionale, resta un film burlescamente eccezionale.

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