“Now it is Nineteen Eighty-Four” cantava Jello Biafra ai tempi dei Dead Kennedys. Forse era troppo ottimista. Forse, a pensarci bene, abbiamo abbandonato le dittature novecentesche per sprofondare in un Mondo nuovo, quello predetto da Aldous Huxley; il capolavoro dell'autore inglese ci porta in una realtà senza servi né padroni, dove ogni lotta per la libertà è impossibile perchè non esiste un nemico da combattere. Ciascuno è oppressore di se stesso: nessuno può immaginare una società alternativa, perché l'uomo huxleyano non conosce la storia e non ha memoria, è solo un ingranaggio del più tremendo dei sistemi: egli è parte intrinseca della macchina, e non può disinnescarla senza contemporaneamente uccidere se stesso.

Il Mondo nuovo è la distopia perfetta, l'orrore senza un'antitesi possibile: l'uomo si autogoverna e quindi nessuno deve sorvegliarlo, perché egli nasce e vuole essere schiavo; ecco la superiorità sul 1984 orwelliano: Huxley comprende come il potere sia più letale non quando reprime il dissenso, ma quando lo ingloba nel proprio organismo e lo distrugge; egli vuole dirci che il capitalismo non spegnerà l'uomo con il terrore, ma cullandolo come un bambino, plasmandolo con ogni sorta di piacere, fino a ridurlo ad un automa senza personalità. Un'opera complessa quella di Huxley, prima antropologica che sociale, dove l'uomo del futuro viene delineato in maniera ossessiva, attraverso dialoghi intrecciati e un insieme di tic reiterati per tutto il libro: egli è ridotto a un perenne stato di infantilismo affinchè sia il consumatore provetto; privato di ogni dolore (dalla vecchiaia, dal peso di Dio e dall'amore), egli si abbandona a un continuo delirio consumistico, producendo e comprando fino all'arrivo della silenziosa morte ospedaliera, senza mai avere un istante per fermarsi a pensare (Il “soma” è come la bacheca di Facebook...) e cercare un senso alla propria vita che sfugga alle logiche mercantili. L'uomo del Mondo nuovo è un idiota che non ha gli occhi per vedere la direzione verso cui cammina la propria esistenza.

Rifuggendo da ogni invettiva classista, Huxley intende formulare una distopia universale, poiché le classi possono anche scomparire (e nel 1932 sembrava più probabile che nel 2019), ma le contraddizioni fra uomo e potere esisteranno sempre; se egli si sente sicuro sull'uomo e sulla miseria che lo attende, non azzarda la descrizione particolareggiata della dittatura del futuro: egli si affida all'allegoria, narrando diversi aspetti della vicenda attraverso gli occhi del Selvaggio (l'alter ego del lettore all'interno della vicenda, unica mente non assoggettata all'ideologia del benessere), strappando l'opera all'anacronismo e confidando sulla capacità del lettore di leggere fra le righe di questa satira amarissima. L'allegoria di Huxley, libera da particolarismi, ci abbaglia per la sua acutezza: durante uno dei passaggi chiave del libro, i bambini del Brave New World vengono condotti sul pavimento di una stanza dove vi sono poggiati un libro (simbolo della cultura) e un mazzo di rose (la natura); i pargoli, incuriositi, iniziano a sfogliare le pagine e a carezzare i petali. E' il momento dell'orrore: sul pavimento vengono profuse scosse elettriche e fra le mura rimbombano esplosioni fittizie; al termine dell'agonia, i bambini, condizionati come i cani di Pavlov, associano i libri e le rose al dolore; eccoli ora indietreggiare inorriditi davanti alla cultura (essa mina l'ordine della società, l'ignoranza è positiva) e davanti alla natura (ciò che è capace di dare gioia gratuitamente dev'essere estirpato: gli uomini vanno cresciuti affinché diventino buoni consumatori, desiderino sempre cose nuove e paghino per averle.) Ora, nel nostro presente, potremmo fare un esperimento: andare in una palazzina di periferia, scambiare quattro chiacchiere con un ragazzo e chiedergli di leggere un libro; immaginiamo la sua reazione: purissimo disgusto – “che cosa noiosa”, ci direbbe. Immaginiamo, ancora, di proporgli una gita in campagna, sulle rive di un fiume, o perché no, in montagna. Il nostro ragazzo fuggirebbe prima del termine della frase, sappiamo che è così. Il riflesso condizionato di Huxley è qui: non è giunto tramite brutali operazioni, ma strisciando dolcemente. Lo ha fatto con l'innocenza di tweet che scoraggiano l'approfondimento di qualsiasi argomento; tramite cellulari sempre più minuscoli e capaci di riempire i momenti noiosi con minore dispendio mentale rispetto a un libro; attraverso le culture dell'apparire, dello sballo e delle passeggiate nei supermarket, fino al punto di portarci a considerare i boschi come mera fonte di legname per realizzare gli asettici mobili di una qualche multinazionale svedese. Il Mondo nuovo è qui e il Grande fratello orwelliano è una nostalgia del '900, dove le rivoluzioni potevano ancora cambiare il mondo.

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