"Nel sogno, volteggio senza alcun peso. E' tutto d'azzurro profondo, d'intorno. Mi rotolo come un bimbo fra cumuli di nuvole, la tengo per mano, mi imbratto di luce, mi sgolo urlandole un "Ti amo" infinito, senza più voce. Non la bacio. Vorrei, senza riuscirci. Vorrei quasi morderle, quelle labbra bambine così belle, imbronciate a tratti e così fresche, sempredolci. Perennemente accese e sorridenti. Buone e tentatrici come fossero di panna. Cioccolato e desiderio. E zucchero di canna. E il mondo un incavo d'ombra colmo solo d'una luce, la sua. E quel lieve silenzio d'intorno dove, senza alcun suono o rumore, puoi ancora sentirla sorridere. Perché è così. Tu la senti sorridere, in quella luce come d’oro, accesa nei suoi occhi. Amori birbanti.

Principesse e ranocchi.

Fuori è vento che taglia e che spinge, ma il corpo è più attento, è teso e leggero. Il pensiero di lei è un terassaco perduto come dentro ad un monsone. E il mondo è al di fuori e al di dentro, rigato di vento.

Incerto.

Sospeso.

Ed io, nel sogno, volteggio senza alcun peso".

E' una preghiera in musica, questo album di Alessandra Celletti. Ma è soprattutto la femminilità, con tutto il suo immenso potere salvifico. Il pianoforte che dipana per tutto il disco una trama esile ed intensa, una vorticosa tela di Penelope musicale, un discorso intessuto di note e di silenzi che ora fa e ora disfa, dove l’anima insemenzata d’amore e di desiderio attende, paziente, una sorta di ritorno a se stessa. Alla propria autenticità. Di donna. Accesa, di luce. Confusa a tratti, incerta forse, ma sempre, incrollabilmente perduta ed arsa d’amore.

Gocciole come di profumo che cadono nel silenzio, preziose. E’ questo l’incipit del disco, dove "In grazia del Tuo nome, con amore", le mani dipingono sul pianoforte una trama esile e malinconica che ti avvolge lentamente, come fosse seta. E in cui il tuo dolore, di uomo, trasfigura dolcemente. Un brano profumato di pesca come la pelle di un bimbo. Un brano fragile e teneramente apprensivo come il bacio di una madre. Una femminilità musicale poliedrica. Che ora si fa gatta e fa le fusa nel flusso mormorante di "O Dio buono, fa scendere la rugiada". O che si perde tremante nell’atmosfera incerta e rarefatta di "Raccoglici insieme dai quattro angoli del mondo".

Ma questo album è soprattutto preghiera, dialogo con Dio, e forse, generalmente, con l'uomo, con "l'altro". Sono canti senza parole, preghiere senza parole, questi di "Chi mi darà le ali". Ed è soprattutto il salmo 54, "Porgi l’orecchio, Dio, alla mia preghiera". E’ su questo salmo, infatti, sui suoi versetti, che Alessandra Celletti arrampica l’edera del proprio discorso musicale.

E' l'amarezza cullante di "Ecco, errando, fuggirei lontano". Un brano che lascia, come rughe attorno agli occhi, al mattino, l'amaro di un sonno troppo breve e di un sogno troppo presto perduto. Una fuga da se stessi, prima che dal mondo, dagli altri. Una atmosfera sospesa nel vuoto della propria incertezza da acrobata fanciullo. O sono i refoli di note di "Disperdili, Signore, confondi le loro lingue". Pensieri musicali delicatissimi, miniature dolceamare di note acute, centellinate come nel silenzio di un bacio a labbra strette. Sino ai bagliori teneramente ossessivi, pallidamente lunari di "Giorno e notte si aggirano sulle sue mura".

"Ci legava una dolce amicizia", e qui il canto diventa un flusso, una corrente dell’anima sotterranea che ti trascina verso l'abisso del legame fra due anime. Semplice e inespresso come un imperituro patto di sangue. Per poi perdersi, Teseo senza più filo, nell'atmosfera allucinata e dissonante di "Piombi su di loro la morte". Un brano ripido e scosceso come una discesa presa troppo veloce, senza freni. Un brano di sensazioni sonore che ti corrono rapide dall'incavo del collo alla schiena, brividando. Tornante dopo tornante, in picchiata sulle pendici del cuore. Controvento. Sino all'omega degli arpeggi in "Getta sul Signore il tuo affanno", col suo tempo rubato, in cui le note muoiono e si accartocciano su se stesse come un ultimo bacio rubato che tracima annullandosi nel silenzio.

Un album che suona ora facile, ora imprevedibile, ora delicato, ora incandescente ed inestricabile come una frase a mezza bocca. Un disco che ti sorprende, ti stuzzica, ti porge il verdemela del peccato, e che ti salva con il suo sguardo di donna. Che redime, e che ti assolve, inaspettato, inatteso.

"Ed io, nel sogno, volteggio senza alcun peso".

Carico i commenti...  con calma