Il paradosso è che ormai vincere il Tour può essere considerata la parte facile: guardando l’albo dei vincitori conservare quel trionfo negli anni appare un’impresa decisamente più cazzuta!

Sono sempre stato tiepido nei confronti dei miei miti sportivi: per quanto mi faccia male ammetterlo è probabile che anche loro non siano puliti. Come un bambino che crede a Babbo Natale, allo stesso modo e senza nessuna prova voglio convincermi del fatto che lo facciano sempre meno rispetto agli altri e che ad armi pari non ci sarebbe storia. Le differenze di prestazione tra primi e gran parte degli atleti di alto livello sono ormai così risibili che non ci vuole certo un’aquila per capire che le continue positività di nomi di spicco mettano addosso parecchi punti interrogativi anche a tutti coloro i quali arrivano alle spalle dei migliori per una manciata di istanti. Come normale che sia il libro, con la narrazione in prima persona, si concentra sulla storia del doping italiano con lo strano intreccio del dott. Conconi (alias Con CONI) e le massime cariche federali sportive. Vengono messi alla berlina gli sport di resistenza con i gesti tecnici più modesti, ma è ovvio che anche nelle discipline più complesse, brevi e di potenza la componente fisica abbia assunto nel tempo sempre un’importanza maggiore; l’aumento di incontri ravvicinati per venire incontro alle esigenze televisive per quanto possa far rimanere incollate al teleschermo milioni di persone più di qualche dubbio lo solleva: come può un atleta, teoricamente umano, allungare significativamente la propria carriera dovendo sopportare carichi di lavoro frenetici, prestazioni sempre più vertiginose? Le metodologie di allenamento e l'alimentazione. Sì, certo ma anche gli Elfi e le renne che volano fanno il loro sporco lavoro.  

E’ un libro che mi ha stupito perché credevo che le federazioni di tutti gli stati fossero perfettamente a conoscenza del doping praticato dai loro atleti di punta per vincere medaglie a iosa e che i paraculi rappresentanti avessero il “solo” compito di usare qualche chilo di retorica nelle conferenze stampa per esprimente il proprio disappunto, condanna e blablabla al momento dello scandalo. Un po’ come quando viene detto all’eroe di turno: “nel caso ti catturassero noi dovremo dire che non ti conosciamo”. La mia immaginazione limitata non credeva però che con soldi statali venissero creati centri di ricerca anti-doping per poter verificare con scientifica precisione i tempi di assimilazione e poter così aggirare i controlli ufficiali. Medici che si fanno finanziare per combattere il doping, mentre in realtà ritardavano le metodologie di certificazione: cosa ben gradita alle case farmaceutiche che lo producono. Tentativi di manipolare delle prove per cacciare con un bel calcio nel culo chi cerca di smascherare la truffa, membri del CIO dal passato vischioso, come il loro sangue ben ossigenato.

Nonostante sia scritto in modo troppo giornalistico e secco per i miei gusti ho divorato “Lo Sport del doping“. Passando alle critiche, per quanto possa essere giustificato non ho apprezzato il modo fin troppo autoelogiativo con il quale l’autore parla del suo operato: sembra che goda nel descrivere degli ostacoli e delle accuse che ha dovuto subire e restituire al mittente con sonoro schiaffo morale. Lo scritto è inoltre suddiviso in un numero infinito di sottocapitoli, non sempre necessari per l‘obiettivo del libro, che si sarebbero potuti raggruppare in modo più lineare e sintetico. Nel finale del libro Donati giunge a delle conclusioni che trovo troppo disneyane quando sostiene che la lotta al doping possa essere fatta con successo con l’educazione in famiglia e creazione di varie confederazioni capeggiate da allenatori coraggiosi e senza macchia di varie discipline atti a creare una sana cultura sportiva. Gli interessi economici, derivanti dai diritti televisivi, sono tali che io credo sia utopia. Per raggiungere determinate prestazioni un atleta prima o poi verrà sempre messo di fronte ad un bivio: doparsi e adeguarsi agli altri o rifiutarsi stoicamente pagando lo scotto di uscire dal “gruppo di testa”. A differenza sua, sono per una legalizzazione del doping; lo spettacolo mediatico sembra quasi imporlo e gli atleti, se disposti a questa pazzia, potrebbero godere di una maggior tutela medica che, negli anni passati, avrebbe potuto salvare delle vite. Come delle cavie spinte oltre i limiti umani gareggerebbero potenzialmente ad armi pari, (anche se ci sarà sempre un doping innovativo ed i gradi assimilazione saranno diversi da persona a persona), e noi con i popcorn potremmo assistere alle gare sempre più spettacolari di questi campioni tra i “super-normali”. Se ci pensiamo non è poi troppo diverso da quello accade nell’ombra e che stupidamente neghiamo di vedere.

Il libro parla anche del rapporto doping/criminalità organizzata; ci sono anche delle leggere contraddizioni ma non voglio esagerare e privarvi del piacere della lettura. Mi preme sottolineare invece il tema che a mio parere sarebbe dovuto essere centrale e che invece viene solamente sfiorato. Se da un certo punto di vista trovo comprensibile che un atleta di livello voglia competere alla pari (dopandosi) per poter raggiungere notorietà e ricchezza è agghiacciante il fenomeno che vede, per mera emulazione, sempre più amatori ricorrere all'aiuto chimico. Proprio per l’assenza di controlli, visto il livello mediocre e gli irrisori riscontri pecuniari, sempre più persone della domenica fanno ricorso con metodi fai da te a queste sostanze le cui conseguenze possono essere ancora più devastanti rispetto a quelli dei professionisti.

Ora tutti noi dovremmo essere scandalizzati e dire che se corrisponde al vero è una realtà abominevole ed incomprensibile, ma chiunque ha fatto sport a livello amatoriale (ciclismo e corsa per dirne due) sa che è una pratica assai distante dal perseguimento dell’acronimo dell’Asics (Anima Sana In Corpore Sano). Cazzate! Nelle garette paesane serpeggia invidia ed una competitività inimmaginabile che può sfociare nelle pillole. Ma se ci pensate un po’ il doping su larga scala tra i dilettanti è perfettamente centrato con la società contemporanea che non accetta i propri limiti. Che differenza c’è tra l’epo e una bella stirata al viso cadente o alle  tette cascanti? C’e questa grande differenza tra un’emotrasfusione per vincere la coppa del nonno e il voler acquistare con 60 rate una macchina appariscente che palesemente è fuori dal nostro portafoglio ma che può farci sembrare più ricchi di quel che siamo? C’è differenza tra un atleta che gareggia a 50 anni e i patetici proclami di un anziano uomo politico ormai morto? La nostra vita la trascorriamo per cercare di creare di prendere per il culo noi stessi ed il prossimo, creando un’immagine più accomodante rispetto a quella reale.

Accettare il nostro naturale decadimento fisico, la nostra mediocrità/normalità non è un boccone saporito da buttare giù ed allora per ogni aspetto della vita facciamo come le fotografie su Photoshop: le pompiamo un po’ per creare una realtà diversa da quella che è. Chi crede che il doping sia frutto di atleti mal cresciuti/bambini cattivi che tradiscono una nazione, non capisce che se attecchisce così bene in tutto il mondo c’è un humus particolarmente fertile. Per questo non credo sia possibile estirparlo: dovrebbe cambiare la società. E la testimonianza di quanto funzioni bene non sono le dieci righe di nomi illustri che appaiono ma la diffusione fuori da quell’elitè che va in televisione. L’importante però è indignarsi e negare la realtà, come fanno così bene i politici che schifiamo. Vorrei far notare come i mass media hanno tiepidamente accolto questa bomba letteraria così scomoda e difficile da digerire. 

Alessandro Donati per 20 anni ha fatto un lavoro sporco prendendosi ben pochi plausi e tanti problemi che tuttavia non sono mai finiti in una condanna o licenziamento da parte del CONI (ha sempre avuto la cura di poter giustificare e provare le sue accuse). Vi consiglio pertanto di fare passaparola, comperare e leggere questo libro forse imperfetto nella sua centratura ma scomodo, sincero e passionale

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